Non perdete tempo a battere su una parete, sperando di trasformarla in una porta.
Coco Chanel
La porta è uno strumento di passaggio, un varco che conduce a un altrove conosciuto o sconosciuto. Da sempre la simbologia le attribuisce una funzione connettiva o separativa. Da una membrana fluida di accesso a un ostacolo blindato. Così, mentre l’esterno ospita una realtà caotica e profana, l’interno accoglie la sicurezza e la sacralità del focolaio familiare.
L’etimologia della parola la riconduce inizialmente al verbo portare. Sembra che Romolo, per segnare i confini delle mura romane, sollevasse l’aratro laddove ci sarebbero state le porte principali. Il termine che però evoca la natura simbolica della porta è passaggio, sia inteso come varco, che come atto sacrale dell’uomo che si ricongiunge alla divinità. Così diventa essenziale la soglia, ovvero quel frammento limbico che segna il confine inferiore della porta.
I Guardiani della Soglia
Solitamente la soglia è rappresentata da un sasso piantato nel terreno o da un gradino. È l’incipit di un accesso che non è mai così semplice e scontato. Per questo entra in gioco la figura esoterica de Il Guardiano della Soglia. Si tratta del terzo dei sette Archetipi Junghiani, ovvero quelle immagini universali, eterne e immutabili appartenenti allo strato inconscio della psiche umana.
Il guardiano è una figura minacciosa, o almeno deve apparire tale per incutere timore all’Eroe. Questo dovrà affrontare diversi ostacoli per raggiungere la maturità spirituale. E il guardiano è colui che freddamente glieli mostra. Per questo in epoca medievale assume le fattezze di un drago o di un mostro serpentiforme, per infondere la pericolosità che tale viaggio comporta. In realtà, la sua natura non può essere più simile all’uomo, in quanto concretizzazione fattuale dei suoi demoni interiori.
La porta tra Auguste Rodin e Jackson Pollock
Così in Guardians of the Secret (1943) di Jackson Pollock i due guardiani che accostano la soglia hanno fattezze quasi umane, tanto da essere distinti dall’artista come uomo e donna. Hanno una corporeità filiforme e tribale, che li dipinge come totem nativi americani, impegnati a frenare le forze del male. Il loro compito è quello di racchiudere una tavola di iscrizioni geroglifiche e criptiche, come evocazione di un mondo spiritico inaccessibile allo spettatore. Questo non potrà mai accedervi, perché groviglio di interpretazioni psicologiche nella mente dell’artista.
Più facilmente riconoscibile dallo spettatore è invece la celebre Porta dell’Inferno (1880-1917) di Auguste Rodin. Originariamente realizzata per il Museo di Arti Decorative, mai costruito, si presenta come un crogiolo di anime eternamente dannate, che traggono ispirazione dall’inferno dantesco. Un inno all’amore, al peccato e alla morte che invita l’uomo alla sua contemplazione disinteressata, senza cercare di varcare quella soglia inaccessibile.
La porta dell’Inferno
La porta di Rodin tratteggia quindi un limite tra il mondo dei vivi e quello dei morti, tra un universo riconoscibile e uno ultraterreno, avvolto dalle incessanti fiamme del peccato. Una realtà che all’uomo non è dato conoscere, ma che potrebbe trovare la sua concretizzazione in un altro varco, che sembra opera della natura, ma non lo è.
Si tratta della Porta dell’Inferno, collocata nel deserto del Karakum, in Turkmenistan. Un cratere incandescente che arde da quarantacinque anni, da quando i sovietici perforarono il terreno per estrarre il petrolio. Dopo che le trivelle causarono un cedimento del terreno, si decise di dare fuoco al pozzo, ma quell’incendio non si spense mai. Oggi si offre agli sguardi incantati dei suoi spettatori.
Il richiamo artistico nella quotidianità
Tuttavia la porta non ha solamente una valenza introspettiva, sacra e spirituale, aperta alle trame labirintiche dell’inconscio o a un inaccessibile mondo ultraterreno. Perché prima c’è la vita, come un ritmico percorso a tappe che passa dalla nascita, alla maturità, fino alla vecchiaia. Un po’ come il mitologico viaggio dell’Eroe, che invece al suo posto accoglie l’uomo qualunque, impegnato tra gli ostacoli della quotidianità. Così le porte sono quelle delle case, degli uffici e dei negozi, apparentemente ordinarie, ma aperte a potenziali rivisitazioni artistiche.
Basti pensare al borgo antico di Maccagno Inferiore, in provincia di Varese, o a quello di Valloria, in Liguria, dove porte e finestre sono state affidate alla libera creatività di artisti di tutta Italia. I colori carnevaleschi degli usci donano così colore alla quotidianità, permettendo a piccoli borghi di diventare musei a cielo aperto. E non solo in Italia, ma in tutto il mondo, dove le porte dipinte deliziano sempre di più l’architettura urbana.
Tutto questo per dimostrare che non è più importante la verità al di là di una serratura, ma la porta in sé, che diventa oggetto esteticamente godibile. L’Eroe così non ha più paura del guardiano e delle prove che gli riserverà, ma può passare accanto a una porta indisturbato oppure accedervi, con la consapevolezza che lo porterà in un luogo conosciuto.