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Da fanzine distribuita a mano ad editore indipendente: la storia di CTRL

Lo Sbuffo ha intervistato Nicola Feninno, direttore di CTRL che insieme a Chiara Generali, Alessandro Monaci e Michele Perletti ha contribuito alla pubblicazione, ad Aprile, del secondo volume della loro collana editoriale Trilogia normalissima.

“Luoghi e persone fuori dai radar”, queste le prime parole che si leggono sul sito di CTRL editore: un tentativo di portare alla luce storie rimaste nascoste? Una descrizione che sembra una missione, è così?

Una missione: sì e no, forse più una ricerca che nasce naturalmente da ciò che ci piace fare e che vedevamo essere poco frequentato tanto nel giornalismo quanto nella narrativa. Ci siamo detti: “andiamo a cercare le storie che ci piacerebbe leggere”, e così abbiamo fatto. Raccontare queste realtà ai lati dice molto del mondo in cui viviamo, un mondo in cui si legge in tempo reale di ciò che accade dall’altra parte del globo in un’abbuffata di informazioni che lascia, appunto, fuori dal radar storie forse meno notiziabili ma non per questo meno interessanti.

Il piacere di trovare le copie di CTRL magazine nei locali di Bergamo è stato uno dei momenti ricorrenti nei miei anni di liceo che ancora oggi ricordo con un sorriso, le copie sopravvissute occupano un posto fisso nella libreria di una generazione. Oggi CTRL è una casa editrice, ci raccontate il percorso?

La storia inizia dieci anni fa da un gruppo di amici che decidono di cercare e promuovere gli eventi che si muovevano nel sottosuolo di una Bergamo apparentemente poco attiva. Nasce una fanzine distribuita a mano nei locali che raccoglie gli eventi della città. Il magazine inizia a circolare ed il gruppo ad allargarsi fino a che, mantenendo la sezione eventi, vengono aggiunte due nuove rubriche sui luoghi e le persone di Bergamo e provincia con quelli che sono stati i nostri primi reportage narrativi, arrivando a distribuire anche su Brescia, Roma e Milano.

Muovendosi su suolo nazionale diventa più complicata la ricerca di fondi per poter pubblicare, così tre anni fa lanciamo una campagna di crowdfunding per puntare al rilancio: il primo libro. La follia viene premiata dalla fiducia dei lettori e così riusciamo a realizzare Stiamo scomparendo, diventando editori di noi stessi. Ciò che stiamo facendo oggi con la Trilogia normalissima è il coronamento di un percorso abbastanza folle e vorticoso, ma con una sua coerenza: ora in maniera molto più matura e grazie anche alla complicità di tante librerie indipendenti continuiamo a raccontare le storie fuori dai radar dalle quali siamo partiti.

I libri di CTRL editore si distinguono anche per il formato e la grafica: come nasce l’idea?

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Dall’inizio collaboriamo con Studio Temp, uno studio grafico di Bergamo che ci ha seguiti dal formato iniziale del magazine pinzato alla grafica dei libri della trilogia. L’idea è stata quella di creare un libro che, innanzi tutto, avesse un aspetto alieno, poco visto, in linea con il suo contenuto. Allo stesso tempo volevamo creare libri “come una volta”, la stessa copertina rigida.

L’idea di una grafica così particolare e in controtendenza rispetto ai canoni editoriali nasce da una grande fiducia nei confronti del lettore: un atto di sfida e di amore. Ci siamo resi conto di come alcune dinamiche di marketing applicate al mercato editoriale siano in realtà miopi, e vedendo il lettore come un target sottovalutino la complicità di un lettore che con curiosità si avventura nella scoperta di un libro.

Passando alla collana “Trilogia normalissima”: tre libri di reportage narrativo, terra di confine tra giornalismo e letteratura, perché questa scelta?

La scelta nasce dall’argomento. Il genere del reportage narrativo e fotografico in Italia ha radici profonde. Secondo noi ora si fa troppo poco perché impegnativo, tanto dal punto di vista economico quanto temporale, si tratta di mandare scrittori e fotografi a stretto contatto con le storie, i reportage nascono da incontri prolungati, ricerche e contatti con le persone in modo da ascoltare a lungo. Si pensa che ai lettori questo genere non interessi, dal momento che produce articoli lunghi, non adatti ai canoni che vedono tra i preferiti dai lettori gli articoli clickbait di veloce lettura.

Noi crediamo che non sia così. Ci interessa che questo tipo di storie siano affidate a delle penne abituate ad una narrazione più lenta, meno schematica rispetto a quella del giornalismo classico. Alcuni nostri autori sono giornalisti, la maggior parte sono scrittori; in ogni caso lo stile di scrittura è molto più narrativo che giornalistico, permettendo un avvicinamento più profondo alla storia. Anche l’autore acquista un ruolo di primo piano, insomma, la forma ed il contenuto sono funzionali l’uno all’altro.

Reportage non solo narrativi, ma anche fotografici: come pensate il rapporto tra scrittura e fotografia?

La fotografia e la letteratura hanno per noi la stessa dignità, sono semplicemente due linguaggi diversi per raccontare. A volte la storia nasce da una fotografia, e noi cerchiamo poi la penna giusta per raccontarla, altre volte nasce da un’idea della redazione o da autori che ce la propongono.

I dimezzati, uscito nell’aprile di quest’anno, nasce da un archivio quasi perduto di fotografie, come si sviluppa l’idea del reportage narrativo che abbiamo oggi il piacere di leggere?

Per I dimezzati l’origine è stata il titolo stesso. Dopo Gli ultrauomini; storie di uomini che superano la normalità, volevamo seguire un fil rouge raccontando il mondo opposto, le storie di uomini e donne a metà. Abbiamo iniziato la ricerca ed in questo momento abbiamo avuto la fortuna di incontrare Daniela Neri, una fotografa che ci ha raccontato di un archivio di fotografie ritrovato durante i lavori di ristrutturazione dell’Università di Siena. L’università prima era la sede di un manicomio e nella ristrutturazione sono emerse 50.000 cartelle cliniche di uomini e donne ricoverate negli anni in questo manicomio. Di queste, 20.000 contenevano fotografie molto fredde, scientifiche, con intento di catalogazione. Di queste ne abbiamo scelte 39 più una di copertina in un grande lavoro di selezione.

L’intento è quello di raccontare le vite di queste persone che sono state dimezzate dall’istituzione manicomiale, con un confine molto netto tra il dentro e il fuori, la sanità e la malattia. Sicuramente la scelta stessa di pubblicare queste fotografie è militante, c’ è un’inevitabile intento di denuncia nel mostrare storie di vite vissute dentro le mura di un manicomio, ma cerchiamo di spingerci oltre: per denunciare ci vuole un grado di preparazione proprio della saggistica, il nostro obiettivo è raccontare, dedicare spazio alle vite delle donne e degli uomini che stavano dietro quelle cartelle cliniche.

Per concludere, quali sono i vostri sogni e progetti futuri? Cosa aspettarsi da CTRL?

Sicuramente è prevista la terza ed ultima uscita della collana. Continueremo con il reportage online, sul nostro sito, l’obiettivo è continuare così e rilanciare con nuovi progetti collaterali a cui stiamo lavorando.

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