Che cos’è il sigillo della raggiunta libertà? Non provare più vergogna davanti a sé stessi.
Friedrich Nietzsche
La maggior parte degli scontri si combattono con le armi o con la diplomazia, ma la moda può essere uno strumento altrettanto potente, è il caso dell’Italia di fine Cinquecento, in gran parte assoggettata al dominio spagnolo. L’influenza della corte di Madrid si estendeva anche nel campo dei costumi, specialmente quelli femminili. La cattolicissima Spagna impose di coprire il più possibile il corpo delle donne. Ma ci fu uno stato che rivendicò la propria autonomia, anche per quanto riguardava la moda. Si tratta della Repubblica di Venezia.
Una delle città più ricche del suo tempo, crocevia degli scambi con l’Oriente, Venezia non si sarebbe mai lasciata trascinare nell’orbita dell’influenza spagnola. Si pose, anzi, in netto contrasto con il rigore della corte madrilena. E così se le donne spagnole si coprivano dalla testa ai piedi con tessuti neri, le nobildonne veneziane scoprivano tutto il possibile e si rivestivano di broccati di fili d’oro.
Per le donne della Serenissima era motivo di orgoglio mostrare i propri seni con delle vertiginose scollature. Ne possiamo trovare riscontri nelle numerose fonti pittoriche, in particolare Paolo Veronese. Basti pensare a Lo svenimento di Ester e La bella Nani, entrambi conservati al Louvre. Un affresco di Francesco Montemezzano, allievo allo stesso Veronese, rappresenta un singolare incontro tra Maria di Spagna, vedova di Massimiliano II d’Asburgo, e le donne della famiglia Regazzoni, gentildonne della Repubblica di Venezia. Da una parte la vedova imperiale e il suo seguito sono abbigliate alla moda spagnola (Maria è addirittura vestita da suora), dall’altra le donne Regazzoni sono vestite, o svestite, alla veneziana. E non ci vuole troppa fantasia per immaginare le reazioni delle spagnole a una tale vista.
Gli spagnoli non erano gli unici a rimanere scandalizzati dalla moda della Serenissima. Nel 1608 l’inglese Thomas Coryat rimase a dir poco stupito dai costumi veneziani, riportando nel suo resoconto che «Quasi tutte le donne, sposate, vedove e ragazze da marito, vanno in giro col seno tutto scoperto, molte scoprono le spalle quasi sino a metà della schiena […]; moda questa, a mio parere, molto incivile e indecorosa».
Il biasimo di Coryat non sembrò toccare minimamente le donne veneziane. Del resto avevano bellamente ignorato critiche di ben altra portata. Si pensi che nel 1562 lo stesso Senato della Repubblica aveva emanato delle norme in merito all’ampiezza dello scollo, per impedire che il petto fosse messo in mostra. Il risultato non fu quello sperato, anzi non ci fu alcun risultato. E non è il caso di riportare le innumerevoli lagnanze espresse da membri del clero di varia estrazione. Ad ogni modo nessuna di queste rimostranze ebbe l’effetto sperato.
Del resto anche il clero a Venezia era a modo suo originale. Molte figlie di famiglie nobili venivano obbligate a monacarsi, e questa non era certo una peculiarità al tempo. Quello che era meno usuale era la reazione delle fanciulle. Secondo un documento seicentesco le giovani nobildonne veneziane, una volta presi i voti, non rinunciavano alle vanità della vita terrena e si scoprivano il petto tanto quanto le altre.
La potenza e la ricchezza di Venezia si mostravano nei tessuti orientali e nei merletti di Burano non meno che nel suo arsenale. L’indipendenza e la libertà della Serenissima erano lì, nei seni scoperti delle sue donne, sfoggiati senza vergogna sotto gli occhi del mondo intero.
FONTI
Alessandro Marzo Magno, Con stile. Come l’Italia ha vestito (e svestito) il mondo, Garzanti, 2016, pp. 45-53