L’uomo consiste in due parti, la sua mente e il suo corpo. Solo che il corpo si diverte di più.
Woody Allen
Durante gli anni Sessanta la società internazionale si espone in maniera preponderante al cambiamento. La musica, la letteratura, il cinema e l’arte sono gli ambiti in cui questa trasformazione prende maggiormente piede. Dopo tanti anni, si riscoprono la libertà e l’indipendenza. Attraverso i movimenti liberatori, che si sviluppano anche grazie alla filosofia, si afferma la ricerca identitaria.
Queste nuove circostanze portano inevitabilmente alla riscoperta di sé stessi e dei propri canoni, sia estetici che cognitivi. Sono questi gli anni nei quali viene svelato – e compreso – il concetto di corpo. È l’arte, prima fra tutti, a utilizzarlo a livello comunicativo, grazie alla nascita di un movimento all’avanguardia: la Body art.
La Body art, letteralmente arte del corpo, è una corrente artistica sviluppatasi prima negli USA e successivamente in Europa. Come chiaramente suggerisce il nome stesso, si tratta di una tendenza che utilizza il corpo come unico strumento espressivo. L’impiego del corpo come veicolo di messaggi, idee e convinzioni che altrimenti rimarrebbero celate.
La Body art ha il compito di trasformare il corpo umano, differenziandolo continuamente, e ricreandolo secondo precisi canoni. Il suo principale scopo è quello di conferirgli vita nuova e numerose identità. L’artista tratta il corpo come fosse una tela da dipingere, e su di esso si impegna a trascrivere le proprie emozioni, spesso in contrasto con il mondo esterno. In questo modo vi è il superamento della barriera tra arte e vita, ormai del tutto connesse tra di loro.
Le forme più comuni di Body art sono il tatuaggio e il body piercing. Se però prendiamo in considerazione l’arte sotto forma di decorazione allora non possiamo non far riferimento al body painting, cioè la pittura corporale. Quest’ultima consiste nel dipingere il corpo umano a scopo ornamentale o disorientativo. Quest’ultima caratteristica viene spesso utilizzata con la volontà di creare degli effetti ottici sul corpo, in grado di raggirare l’occhio umano.
In realtà il body painting ha origini molto antiche. La pittura del corpo, infatti, veniva utilizzata per scopi rituali e propiziatori. Soltanto in seguito si è scoperta la sua visione ornamentale. Recentemente, la Body art va a braccetto con quella che viene definita come arte performativa, ossia la Performance art. Quest’ultima prende vita grazie a un’azione concreta, la quale si svolge in uno spazio ben definito.
Anche in questo caso, durante l’evento, il corpo è il protagonista. Attraverso il suo linguaggio e i suoi movimenti – più o meno ampi – si ha un riscontro da parte dello spettatore, il quale potrà apprendere l’esperienza in maniera, ogni volta, differente. Una figura chiave della Body art è stata, ed è tutt’ora, Marina Abramović, regina indiscussa della performance, tanto da autodefinirsi “Grandmother of performance art”.
Credo così tanto nel potere della performance che non voglio convincere nessuno. Voglio che gli spettatori facciano esperienza della mia performance e se ne vadano via con le loro convinzioni.
Marina Abramović
Come lei tanti altri artisti, tra cui Gina Pane, Ulay, Hermann Nitsch e Vito Acconci, hanno puntato l’attenzione sul corpo e sulla sua più intrinseca comunicazione.
L’azione, che sia più o meno movimentata, ha il potere di colpire dritto negli animi. Lo scopo della Body art è soltanto uno: la veicolazione di un messaggio. Questo può avvenire in maniera immediata, oppure graduale, soprattutto per coloro che non lo comprendono in pieno. Sebbene il trascorrere del tempo abbia fatto in modo di attuare continuamente un’evoluzione, ancora oggi questo tipo di arte non è sempre capita, e di conseguenza accettata.
Il primo problema potrebbe riguardare l’utilizzo stesso del corpo, concepito probabilmente come intoccabile. In secondo luogo, si potrebbe innescare un meccanismo di tipo cognitivo. Perché mai un corpo pitturato dovrebbe suscitare, in me, delle sensazioni interessanti?
Forse perché diamo talmente per scontato questo grande mezzo – che ognuno di noi possiede, in infinite forme differenti – da non riuscire a comprendere l’autorevolezza con la quale si staglia di fronte allo sguardo esterno.
Vivere il proprio corpo vuol dire allo stesso modo scoprire sia la propria debolezza, sia la tragica ed impietosa schiavitù delle proprie manchevolezze, della propria usura e della propria precarietà. […]. Il corpo è una scrittura a tutto tondo, un sistema di segni che rappresentano, che traducono la ricerca infinita dell’Altro.
Gina Pane
Un commento su “Body art: una tela non convenzionale”