Eliminare la povertà. Un semplice proposito, utopico per molti, desiderato da tutti. Ma per Muhammad Yunus non si tratta di un semplice slogan, bensì di una ragione di vita. Nato economista “classico”, nel corso della sua vita ha abbracciato e diffuso il concetto di business sociale e, tramite la sua Grameen Bank, ha reso la banca dei poveri una realtà globale ed efficace. Può essere questa la risposta definitiva al problema della povertà nel mondo?
Yunus nasce nel 1940 in Bangladesh e sul finire degli anni Sessanta si laurea in economia presso l’Università di Chattatong, per poi trasferirsi a Nashville dove, dopo aver conseguito un dottorato di ricerca, inizia la sua carriera accademica. Ma dopo soli pochi anni, nel 1974, l’approccio all’economia e alla povertà del giovane professore cambia profondamente, a causa dell’inondazione che in quell’anno colpisce il suo paese natio. La crisi sociale ed economica in Bangladesh è di enormi proporzioni, tanto che viene stimato che oltre il 40% la percentuale di popolazione non riesce a soddisfare i bisogni alimentari giornalieri. In questa situazione di grave precarietà Yunus inizia a dedicarsi con energia al concetto del microcredito, convinto che la ragione della povertà sia da ricercarsi principalmente nella mancanza di fiducia degli istituti finanziari nei confronti del ceto più economicamente svantaggiato.
Due sono le convinzioni essenziali della filosofia del banchiere dei poveri. In primo luogo l’errore commesso dal capitalismo nel considerare la principale caratteristica dell’uomo economico l’egoismo, perché per Yunus la propensione all’altruismo e alla cooperazione sociale è una forza altrettanto, se non maggiormente, incisiva. Insomma, per essere soddisfatti non conta solamente il proprio conto bancario ma anche molti altri aspetti rientrano nella difficile equazione della felicità, come la bellezza del luogo in cui si vive, la sicurezza nelle strade, la cultura e l’intrattenimento. Tutto questo non può che venire schiacciato e sacrificato nella tortuosa strada del profitto come unica ragione sociale, mentre l’approccio di Yunus propone un business che riesca a reinvestire nella comunità quanto guadagnato.
La seconda, e altrettanto fondamentale, assunzione dell’economista bengalese è nell’avere fiducia nelle capacità imprenditoriali degli individui. Spesso infatti, non sono le idee di business o le qualità a mancare nei soggetti più poveri, ma un adeguato investimento nei loro progetti. Con la Grameen Bank, cui si sono ispirati molti altri istituti bancari, enti di ricerca e think tank in tutto il mondo, Yunus ha messo a disposizione microcrediti a persone svantaggiate, investendo sulla fiducia. L’intuizione si è rivelata corretta, tanto che dai primi ventisette dollari USA prestati, oggi la banca muove enormi quantità di denaro ogni anno: reinvestendo in attività sociali quanto guadagnato attraverso ogni piccolo investimento si è dato vita ad un percorso virtuoso, in cui con una piccola somma iniziale si riesce nello stesso momento a premiare un’attività economica, creando lavoro e ricchezza, e a reinvestire una quantità maggiore di fondi in nuove attività.
Attraverso questi microprestiti, elargiti in seguito a progetti di business valutati e migliorati anche grazie allo staff della Grameen, persone che non avrebbero mai potuto ottenere fondi dalle istituzioni classiche, che richiedono buone garanzie di pagamento più che un esaustivo piano di investimento, possono avviare una propria attività, uscendo dallo stato di povertà assoluta in cui si trovano. Le somme prestate, spesso volutamente a future donne-imprenditrici così da facilitarne l’emancipazione, sono inizialmente esigue, essenziali per avviare l’attività, e progressivamente intensificate: in questo modo i debitori hanno meno difficoltà a restituire il prestito, di modo che il sistema sia efficiente. Occorre un valido progetto e una concreta dedizione per ottenere questi prestiti, invece che una sicura garanzia economica.
Ogni angolo del pianeta ha le sue immense schiere di poveri, dalle periferie cittadine occidentali agli slums asiatici, africani o sudamericani, tanto che anche solamente immaginare un mondo in cui ogni individuo possa vivere con dignità e stabilità economica sembra un sogno. Eppure Yunus, con la sua opera di economista e banchiere, ha dimostrato negli anni che una nuova strada è possibile, per un futuro privo di disuguaglianze economiche assurdi come quelle odierne. I sussidi economici sono importanti, ma non possono essere la risposta dell’economia globale. In un mondo che vede la ricchezza accentrarsi sempre più in poche mani, tanto che nel 2017 l’Oxfam calcolava che otto individui al mondo possiedono la stessa ricchezza di tutto il resto dell’umanità, solamente un cambio di paradigma può invertire la rotta dello sviluppo e della distribuzione della ricchezza.
Non si tratta di una redistribuzione dall’alto, di misure di assistenzialismo o di requisizione della ricchezza, bensì di una nuova modalità di utilizzo e di concezione del profitto. Investire quanto ricavato dal proprio lavoro in ulteriori attività sociali migliora il contesto sociale in cui viviamo, aiuta a equilibrare lo status economico dei cittadini e migliora l’offerta economica dei consumatori. Una vera e propria rivoluzione, nata in Bangladesh e pronta diffondersi sempre più nelle vite di ognuno.
M. Yunus, Un mondo a tre zeri. Come eliminare definitivamente povertà, disoccupazione e inquinamento, Feltrinelli, Milano 2017