Un anno fa iniziavano le proteste a Hong Kong, portate avanti fino all’estremo soprattutto dai giovani cittadini che rifiutavano un possibile scenario futuro in cui si sarebbero trovati sottomessi al governo cinese e privati della loro libertà. Dopo mesi di proteste e ben 8.981 persone arrestate, le manifestazioni hanno portato a un’unica ma importante vittoria: l’abolizione della legge sull’estradizione, il 4 settembre 2019.
Nel 2019 quindi i cittadini di Hong Kong, città a statuto speciale, hanno deciso di iniziare un nuovo percorso verso la libertà e la democrazia, volendosi distaccare totalmente dalle decisioni del governo cinese: oggi questa strada continua a essere battuta in maniera sempre più decisa, nonostante la piccola pausa delle manifestazioni a causa dell’attuale pandemia da Covid-19.
Dall’altra parte però, il governo cinese non sembra indebolire la sua posizione: la legge sull’estradizione è stata abolita, ma le interferenze di Pechino su Hong Kong non sono ancora finite, nonostante abbia tanti problemi (economici e non) da affrontare dopo il picco di contagi da Coronavirus.
Pechino non si ferma: la legge sulla sicurezza nazionale
Verso la fine del mese di maggio, l’Assemblea Nazionale del Popolo Cinese ha approvato il disegno di legge sulla sicurezza nazionale a Hong Kong, che sembrerebbe ancora una volta minare la democrazia e interferire con i principi morali e politici della città. Il documento deve però ancora essere approvato dal Comitato Permanente del Partito Comunista e solo dopo ciò potrà essere trasformato in legge, entro tre mesi.
Con questa legge, i cittadini di Hong Kong non potranno più manifestare il loro dissenso contro le azioni di Pechino, non saranno più liberi di protestare e si sentiranno sempre più schiacciati dal governo cinese. La normatica consiste infatti nel divieto di secessione, sovversione, terrorismo e di ingerenze straniere nella città. Inoltre, l’articolo 4 afferma:
Se necessario, gli organi di sicurezza nazionale competenti del governo popolare centrale istituiranno agenzie a Hong Kong per adempiere ai doveri pertinenti per salvaguardare la sicurezza nazionale.
Il principio One Country Two Systems, creato nel 1997 tramite un accordo tra Regno Unito e Cina e che consiste nel lasciare autonomia a Hong Kong fino al 2047, è così messo altamente in discussione. Se la legge verrà definitivamente approvata e applicata, Hong Kong sarà sempre più inglobata nel comunismo cinese.
Per le sue azioni, la Cina ha ricevuto critiche da ogni parte del globo; paesi come Usa, Canada, Regno Unito e Australia hanno apertamente dichiarato una violazione degli accordi internazionali.
Il percorso di Hong Kong continua: le nuove proteste
Appena i cittadini hanno saputo della volontà di Pechino di applicare questa nuova legge, non hanno perso tempo e in migliaia si sono riversati nelle strade per chiedere ancora una volta libertà e autonomia. Il 9 giugno si sono inoltre riuniti al tramonto per celebrare un anno dall’inizio delle proteste pro-democrazia.
Nonostante i divieti anti-contagio da Covid-19 che proibiscono di creare assembramenti con più di otto persone, i giovani manifestanti non vogliono lasciar agire il governo cinese indisturbato: la loro lotta deve continuare prima che sia troppo tardi.
Cartelli e striscioni con scritte come “Non riusciamo a respirare!”, “Free Hong Kong” e “Young lives matter”, espliciti riferimenti alle ultime vicende che hanno sconvolto gli USA, sono proliferati per le vie della città:
Dopo 12 mesi, la gente è ancora in piedi in questo posto per mostrare al governo e al resto del mondo che stiamo ancora lottando per i nostri diritti umani, per la nostra libertà e democrazia, non ci siamo arresi.
Dall’altra parte invece, gli agenti di polizia cercano violentemente di fermare le manifestazioni pacifiche, spruzzando spray al peperoncino tra la folla e usando idranti che lanciano getti d’acqua molto potenti. Inoltre, gli arresti e le perquisizioni non sono mancati.
Joshua Wong, il giovane leader delle proteste dal 2019, ha scritto sul social network Twitter:
Non ho speranze verso il regime, ma ho speranze nelle persone. […] Il tempo sta scadendo a Hong Kong e potremmo avere bisogno di contrattaccare […]. La resa non è una vera opzione per noi […].
Il governo di Pechino però non vuole fare passi indietro ma solo passi avanti: il 4 giugno ha approvato un disegno di legge che proibisce ogni forma di denigrazione e odio nei confronti dell’inno nazionale cinese. Si tratta di un altro attacco alla democrazia di Hong Kong; chi viene accusato di questi fatti rischia fino a tre anni di carcere e fino a 50 mila dollari di multa. Dopo questa notizia, le proteste non hanno fatto altro che intensificarsi.
Inoltre, Joshua Wong ha chiesto esplicitamente all’Italia di intraprendere azioni contro la Cina e di non partecipare a progetti come la creazione della Nuova Via della Seta, iniziativa presa dal governo cinese per essere maggiormente connesso con il mercato europeo. Anche un appello all’Unione Europea non è mancato:
Poiché la Cina sta violando e riscrivendo le regole stabilite da un trattato internazionale su Hong Kong chiedo all’Ue di imporre sanzioni a Pechino e di inserire clausole legate al rispetto dei diritti umani.
Nonostante non sia ancora arrivata nessuna risposta dalla comunità internazionale, i manifestanti di Hong Kong non hanno intenzione di arrendersi: la democrazia ha bisogno di essere difesa, oggi più che mai.