Il 17 giugno si è celebrata la Giornata mondiale contro la desertificazione e la siccità: una ricorrenza che si celebra dal 1995, quando fu istituita nell’ambito della Convenzione delle Nazioni Unite per sensibilizzare sul degrado dei suoli e lo spreco di risorse idriche. La minaccia delle attività umane così invasive è infatti la trasformazione dell’ambiente naturale in deserto, con la conseguente scomparsa della biosfera. Il livello di rischio è naturalmente diverso per le varie zone del pianeta: nelle regioni aride e secche, che costituiscono la metà della superficie terrestre, il pericolo è estremo, ma in realtà il fenomeno riguarda anche le zone più umide o anche temperate.
La principale fonte di degrado è lo sfruttamento intensivo del suolo da parte di insediamenti umani che praticano attività industriali senza riguardo per le risorse ambientali: le attività estrattive, la deforestazione, l’urbanizzazione sfrenata, la dispersione di sostanze chimiche, le pratiche agronomiche forzate sono solo alcune delle modalità con cui l’uomo aggredisce il suolo. Non a caso il tema scelto per la Giornata di quest’anno è stato “Cibo, fibre e mangime”, per sensibilizzare sulle produzioni non sostenibili. Tutto ciò si aggiunge ai fattori ambientali, come il riscaldamento globale, i periodi di siccità e gli eventi atmosferici violenti, che fanno la loro parte nell’erosione lenta ma costante dei terreni.
La desertificazione del suolo ha accelerato il suo ritmo negli ultimi anni, arrivando a devastare il 70% degli ecosistemi naturali: una percentuale che, secondo i dati delle Nazioni Unite, potrebbe arrivare al 90% entro il 2050. La maggior parte di queste terre danneggiate si trova nell’Africa subsahariana e nel Sahel: in questi territori infatti la desertificazione si accompagna a lunghi periodi di carestia, che si concentra annualmente nei mesi tra giugno e settembre. Questo periodo viene definito “stagione della fame”: si assiste, oltre all’avanzamento del Sahara, al diradarsi dei raccolti buoni che causa la perdita di buona parte del bestiame e un importante aumento dei prezzi. L’aumento dei deserti determina un aumento della povertà. Il Covid ha oltretutto aggravato la crisi alimentare dovuta alla siccità: si stima che nei prossimi mesi circa 5 milioni e mezzo di persone saranno vittima della fame, oppure migreranno in massa andando a infoltire le schiere dei “profughi climatici”.
Che misure si possono dunque prendere, per fermare il fenomeno della desertificazione? Per prima cosa, restaurare i terreni degradati e ripristinarli, affinché siano di nuovo pronti a ricevere coltivazioni sostenibili e a produrre al loro meglio. Questo provvedimento, secondo le Nazioni Unite, consentirebbe di risparmiare 1,3 miliardi di dollari al giorno, da investire piuttosto nella lotta alla povertà, nell’educazione e nell’energia pulita. In alcune zone sono già in atto iniziative in questa direzione: la Great Green Wall Initiative è un vasto sistema di paesaggi produttivi verdi tra il Nord Africa, il Sahel e il Corno d’Africa, ideato dall’Onu per recuperare circa 100 milioni di ettari di vegetazione in venti Paesi africani entro quest’anno. La “muraglia verde”, se riuscirà a essere portata a termine e a vedere la luce nella sua interezza, attraverserà orizzontalmente l’Africa e potrebbe diventare il nuovo polmone verde del continente, oltre che un segno positivo di rinascita.