Chi tace acconsente: Trump e i post violenti non oscurati

I social sono un potente mezzo di comunicazione, e ormai anche d’informazione. Politici, attori e cantanti li utilizzano quotidianamente sia per condividere pensieri e scene di vita quotidiana, sia per esprimere pareri su fatti di attualità. Essendo sempre nel mirino dei media in quanto personaggi pubblici, spesso diversi post sono finiti al centro di qualche bufera mediatica. In particolare, quando si parla di politica o di tematiche attuali, è facile scatenare attacchi e critiche semplicemente esponendo la propria opinione. Ecco perché sarebbe opportuno che, soprattutto i capi di Stato, scelgiessero con cura le parole da utilizzare in momenti delicati. Di certo la delicatezza non è uno dei tratti distintivi di Donald Trump. Ecco allora che il presidente degli Stati Uniti ha generato scompiglio sia all’interno di Twitter che di Facebook.

Le diverse posizioni di Twitter e Facebook

Twitter ha oscurato dei tweet postati  da Trump, in cui incitava all’uso della violenza contro i manifestanti in protesta negli Stati Uniti. Facebook, al contrario, ha lasciato che il presidente continuasse a postare indisturbato, senza imporre alcuna limitazione. Questa decisione, in particolare, l’ha presa il Ceo di Facebook, Mark Zuckerberg. Gran parte dei dipendenti infatti hanno protestato chiedendo l’oscuramento dei post violenti di Trump. Zuckerberg si è giustificato dicendo che le piattaforme social private “non dovrebbero essere arbitri della verità di quanto le persone sostengono online”. E ancora: “Ho una reazione viscerale negativa a questo tipo di retorica incendiaria e divisiva. Ma la nostra posizione è che dobbiamo garantire più espressione possibile, a meno che non provochi un rischio imminente di specifici danni o pericoli definiti in politiche chiare”.

Sembra che il proprietario di Facebook non conosca il potere che i social network hanno di influenzare le persone. È inevitabile infatti che le dichiarazioni di Trump provochino “rischi imminenti di specifici danni”. Solo per la visibilità che possiede, è indubbio che le sue parole vadano a influenzare negativamente sia chi le sostiene, sia chi le condanna. Nel primo caso infatti, coloro che sostengono la visione di Trump si sentiranno incoraggiati dall’appoggio del presidente e porteranno avanti con maggiore convinzione le loro idee violente. Nel secondo caso, le parole di Trump non faranno altro che incendiare ancora di più le proteste. La presa di posizione di Zuckerberg ha avuto conseguenze anche interne alla società, in quanto centinaia di dipendenti hanno deciso di scioperare. Questi hanno appoggiato la coraggiosa decisione di Twitter di oscurare i post violenti di Trump, e in più hanno annunciato lo sciopero proprio tramite la piattaforma rivale.

Policy aziendale ambigua

La politica sui contenuti si è dimostrata ambigua, tanto che in più di un caso un dipendente di Facebook si è licenziato. Chi ha preso parte alla protesta, infatti, ritiene che i post di Trump violino la policy dell’azienda. Secondo quest’ultima, ogni forma di “linguaggio che inciti o favorisca comportamenti violenti” andrebbe rimossa. Zuckerberg comunque già in passato ha dimostrato di influenzare le politiche dell’azienda e i limiti imposti ad alcuni contenuti, in base alla sua “idea di mondo”. Infatti, per esempio, se si pubblica un post omofobo, la pagine viene (giustamente) segnalata. Se invece si pubblicano oltraggi a cristiani o ad altri credenti, gli amministratori rispondono che “non violano gli standard della comunità”. Questi criteri nessuno li conosce, Facebook decide tutto ma le linee guida dell’azienda non sono ancora del tutto chiare. Questo rende facile per Zuckerberg scansare qualsiasi richiesta di oscuramento. Facile nascondersi dietro a linee guida ambigue.

Infine, mentre alcuni dipendenti hanno deciso di licenziarsi, uno di essi, Brandon Dail, ha subito il licenziamento in seguito a una presa di posizione contro Facebook. Dail aveva chiesto a un collega, con il quale lavorava ad un progetto, di inserire il banner #BlackLivesMatter. Davanti al rifiuto, Dail ha denunciato il fatto su Twitter, criticando il collega. Da qui il licenziamento. L’uomo ha dichiarato di non poterne più di Facebook, “dei danni che sta facendo e del silenzio di coloro che si rendono complici (me incluso)”. Le polemiche sollevate in seguito ai fatti recenti, però, hanno portato Zuckerberg a rivedere le politiche societarie e a riassumere Chris Cox, denominato da alcuni “la coscienza di Facebook”. Cox aveva posto in cima alla lista delle priorità la lotta ai contenuti controversi e alla disinformazione. Inizialmente molti si erano dimostrati disinteressati, ma ora forse cambieranno idea.

Zuckerberg, decidendo di non prendere posizione contro i post pubblicati da Trump, ha dimostrato di fatto di non trovare quei contenuti offensivi. O meglio, ha dato prova del suo sostegno nei confronti di una forma di violenza che, seppur costituita solo da parole, rimane un oltraggio. Non a caso si dice “chi tace, acconsente”.

FONTI

ilmessaggero.it

wired.it

lastampa.it

Marcello Foa, “Gli stregoni della notizia. Come si fabbrica informazione al servizio del governo”, Capitolo 9, pag. 284

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