Disastro ambientale in Russia: l’evidenza del cambiamento climatico

Lo scorso 29 maggio a Norilsk, in Russia, una cisterna di uno stabilimento di un’azienda mineraria (la Nornickel) è crollata riversando oltre ventimila tonnellate di gasolio nell’ambiente circostante. Il carburante ha poi inquinato il fiume Ambarnaja fino al lago Pjasino. La dispersione del carburante nelle zone artiche è ancora più grave rispetto ad altre aree del pianeta, questo perché le basse temperature e la conformazione particolare del terreno rende difficile anche il semplice raggiungimento delle aree colpite. Si tratta di un disastro ambientale di proporzioni epocali.

Come se tutto questo non bastasse, è importante sottolineare come la dispersione del gasolio sia peggiore rispetto a quella (purtroppo non rara) del petrolio, perché l’impatto sulla flora e sulla fauna è pressoché immediato. Si è provato a ridurre il danno mediante l’utilizzo di dighe galleggianti, ma è stata solo una soluzione tampone poiché non si è riusciti a fermare la marea rossa. La distesa d’acqua (il fiume Ambarnaja) era cosparsa di chiazze rosse e viola, impressionanti dalle immagini satellitari. Il rischio concreto è che le sostanze possano raggiungere l’oceano Artico, aggravando il già pesante bilancio del disastro.

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Immagini satellitari del disastro ambientale nell’area di Norilsk.

Il pugno duro di Putin

La Russia non è nuova a incidenti del genere, e le gestioni precedenti del presidente Putin già in passato non erano state tempestive e dure come sperato. Non è però successo questa volta. Egli infatti ha duramente criticato le autorità del posto e il miliardario Potanin, l’azionista principale dell’azienda, colpevole a suo parere di non aver accuratamente effettuato la manutenzione agli impianti. Parte del quadro dirigenziale (3 dirigenti) è stato arrestato per aver dato l’allarme solo quarantotto ore dopo il disastro, il sindaco della città di Norilisk è attualmente sotto inchiesta per negligenza. Il presidente russo sarebbe inoltre particolarmente irritato per essere venuto a conoscenza del fatto attraverso i social e non dalle autorità competenti.

Dunque presidente ambientalista in vista? Spoiler: no

La svolta ambientalista di Putin tuttavia potrebbe non essere completamente disinteressata. I sondaggi effettuati dimostrano un calo severo della sua popolarità, la (mala)gestione del Covid-19 è parte integrante di questa diminuzione. La causa ambientale è una delle tematiche non trascurabili che toccano da vicino la popolazione russa, come dovrebbe toccare tutto il mondo del resto. Furono numerose le critiche fatte ai piani economici del governo, che prevedevano grandi aiuti all’industria dei combustibili fossili e cifre irrisorie stanziate per la riduzione del loro impatto ambientale.

Le prime indagini su quest’ultimo disastro ambientale mostrerebbero come la causa principale possa essere considerata proprio il cambiamento climatico. La cisterna sarebbe crollata in conseguenza di un cedimento del suolo a causa dello scioglimento del permafrost, vale a dire lo strato di terreno che nelle regioni polari resta (dovrebbe almeno) ghiacciato per tutto l’anno. Una delle avvertenze fatte dagli scienziati riguarda proprio questo scioglimento. Superata una certa soglia infatti è possibile che lo scioglimento non sia più graduale ma acceleri improvvisamente, rendendo del tutto imprevedibile lo smottamento del suolo.

Tanti disastri, un solo pianeta

Mentre in Russia Putin deve fare i conti con il crollo della popolarità e dunque punta i fari su certe tematiche, lo stesso non avviene in altre zone del pianeta. Tutto questo nonostante, è bene ricordarlo, il pianeta sia uno solo e un disastro ambientale, in qualsiasi area del mondo si verifichi, è un disastro di tutti.

Il 27 maggio in India si è verificato un altrettanto grave incidente, forse ancora più severo dal momento che il portavoce dell’azienda in questione afferma di non sapere come e perché sia successo (parole di Tridiv Hazarika, portavoce di OIL, Oil India Limited). A Baghjan si è avvertita una forte esplosione, subito dopo si sono liberate nell’aria sostanze tossiche e una quantità non precisata di idrocarburi ha distrutto le piantagioni di tè e inquinato i fiumi.

Secondo i residenti ci sono state quattro vittime, secondo le autorità del posto invece non vi è legame tra le morti e l’incidente. Un primo tentativo di fermare il disastro è stato fatto, ma non è bastato e tra l’’8 e il 9 giugno si è verificato un incendio, che ha ucciso due persone. Con giorni di ritardo e almeno due vittime causate direttamente dalle esplosioni, l’OIL india ha finalmente ammesso la gravità della situazione. Le tempistiche però non sono brevi per la risoluzione, serviranno almeno 30 giorni.

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