La Malora: uno sguardo sulla miseria umana

La Malora di Beppe Fenoglio è uno sguardo sulla miseria umana, sulla durezza dei rapporti in un mondo claustrofobico. La Malora sottolinea una condizione di disagio in una realtà conflittuale, drammatica, di continuo ed incessante antagonismo. Questo non riguarda solo l’ambientazione del romanzo, ma è anche la narrazione stessa ad essere, in qualche modo, ostile. Il lettore, infatti, non è invogliato ad immedesimarsi nei personaggi, a partecipare alla storia, proprio a causa della “narrativa anti-empatica” adottata da Fenoglio.

La Malora venne pubblicato nel 1954, con un risvolto di Elio Vittorini molto particolare. In esso, mostrando un certo distacco nei confronti dell’autore e del romanzo, parlò negativamente del libro che stava pubblicando. Questo fatto turbò non poco Fenoglio, che scrisse sul suo diario parole di dispiacere e rabbia e pensò persino di lasciare la scrittura. Tuttavia, nonostante il risvolto poco positivo, Elio Vittorini riconobbe fin dal principio una caratteristica essenziale del lavoro di Fenoglio: il racconto di un mondo dove il denaro prevale su ogni rapporto, persino su quello tra genitori e figli.

Il mondo raccontato da Fenoglio non è un mondo così lontano da noi: è un luogo dove la legge del lavoro ha dominio assoluto, in cui i sentimenti sono subordinati alle esigenze economiche.

La Malora

La famiglia Braida è una famiglia contadina che vive nelle Langhe, povera così come in generale la zona in cui vivono: una collina con terreno poco fertile e penuria di cibo. A causa della loro condizione di vita, il figlio Agostino viene mandato a lavorare come servitore da Tobia Rabino, al Pavaglione, il fratello Stefano va a fare il militare e il fratello Emilio, invece, va in seminario.

Il racconto viene aperto con la pioggia sulle Langhe e con la morte del padre, che però verrà ripresa anche una seconda volta a metà libro, nel tempo “reale” dell’accaduto, in modo da dividere il romanzo in due parti.

Pioveva su tutte le Langhe, lassù a San Benedetto mio padre si pigliava la sua prima acqua sottoterra. Era mancato nella notte di giovedì l’altro e lo seppellimmo domenica, tra le due messe. Fortuna che il mio padrone m’aveva anticipato tre marenghi, altrimenti in tutta casa nostra non c’era di che pagare i preti e la cassa e il pranzo ai parenti. La pietra gliel’avremmo messa più avanti, quando avessimo potuto tirare un po’ su testa.

Fin dal principio, troviamo alcuni aspetti fondamentali della Malora. Oltre al fatto che si apra con l’annuncio di una morte, che preannuncia la crisi e la malora, bisogna notare proprio la prima parola, “pioveva“. Essa viene utilizzata per trasportarci da subito nel mondo ostile in cui si svolgono i fatti. In secondo luogo, Agostino nomina “San Benedetto” senza specificare molto di più, perché il narratore in prima persona è come se stesse raccontando, oralmente, ad un pubblico che “già sa”; inoltre, il termine “pigliare” è colloquiale, in quanto la narrazione deve risultare, appunto, naturale, non artificiale.

la maloraNella prima parte del romanzo, nel “prima della morte del padre”, si ritrovano l’impoverimento della famiglia Braida e i destini separati dei fratelli: il servizio militare di Stefano, il seminario di Emilio e l’inizio del servizio da Tobia di Agostino.

Nella seconda parte, invece, il protagonista troverà prima amicizia e poi il distacco da Mario Bernasca, un personaggio che, a differenza di Agostino, prova ad allontanarsi. Egli esplicita alcuni aspetti che sono propri anche del protagonista, ma che il protagonista non mostrerà mai. Mario è un personaggio ribelle, che gli propone un’altra strada, ma non verrà seguito.

Agostino farà poi visita ad Emilio, scoprendolo deperito e malato, quasi a voler sottolineare che neanche in città la vita è così bella come può sembrare. In seguito dovrà affrontare la morte suicida di Costantino, un vicino di casa, di cui Agostino stesso troverà il cadavere nel bosco.

Sempre nella seconda parte, una lieve svolta positiva arriva con Fede, nome scelto tutt’altro che casualmente. Questa ragazza, che giunge nella casa dei Rabino come domestica, con la sua dolcezza dona allegria e persino speranza al protagonista. Tuttavia, questo idillio ha vita breve: Fede, infatti, dovrà presto sposarsi con un altro, costretta dalla famiglia. Agostino tornerà a casa dalla madre dove, poco dopo, il fratello Emilio morirà.

La condanna alla miseria

L’universo in cui si muovono i personaggi è costruito su sfruttamentoduro lavoro in una continua lotta per sopravvivere. Persino la famiglia di Tobia, in realtà, vive nella stessa realtà, grigia e faticosa, così come Agostino. Hanno solamente padroni e lavori diversi, ma tutti vivono nella malora.

Il fattore forse più deprimente è da ricercare nel fatto che non solo i personaggi sono costretti in una gerarchia sociale che li opprime, ma tutti accettano la propria posizione nell’universo del denaro. Essi subiscono la loro condanna e nessuno di loro può sottrarsi al proprio destino. Così Fenoglio, attraverso il ruvido tono di Agostino, affresca la realtà contadina dell’Italia di inizio Novecento, non tralasciando mai schiettezza e incisività nel suo stile che non ha bisogno di fronzoli.

FONTI

Beppe Fenoglio, La Malora, Einaudi, 2014

CREDITS

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