Sull’onda delle rivolte esplose negli Stati Uniti a seguito della morte di George Floyd migliaia di persone sono accorse nelle strade per manifestare il proprio dissenso. Il grido di fronte all’ennesimo eccesso di violenza della polizia statunitense perpetrata nei confronti di un cittadino afroamericano è Black Lives Matter. Inizialmente sembrava essere una protesta di portata globale contro le discriminazioni razziali, salvo poi trasformarsi in una sorta di corpo a corpo con la nostra memoria storica.
Da Winston Churchill a Londra a Cristoforo Colombo negli States, fino a Indro Montanelli in Italia, a Milano, e al maresciallo della Guerra dei Cent’anni, Gilles de Rais, a Roma. Ovunque, nel mondo, i protagonisti sono oggi statue e monumenti di personaggi del passato, legati in qualche modo a trascorsi coloniali razziali o presunti tali. Collettivi di giovani li hanno smantellati, distrutti o imbrattati, con poca capacità di contestualizzazione storica e forse spinti dall’enfasi della becera emotività violenta. Davvero Gandhi non ci ha insegnato nulla, con la disobbedienza civile?
Quello che Nietzsche profetizzava con lungimiranza a fine ‘800 sembra si stia avverando. Quel tramonto, insito nell’Occidente. sembra si stia piano piano compiendo, anno dopo anno. Del resto, l’immagine stessa di statunitensi che decapitano una statua di Colombo è la manifestazione più iconica del sentimento autodistruttivo insito nell’uomo occidentale. Quel modo di essere incapace o indisposto a riconoscere le sue origini storiche, buone o cattive che siano.
Se ci soffermiamo su ciò che è accaduto a Milano con la statua di Montanelli, un punto di vista per raccontare l’accaduto è dato dalle parole di Giacomo Schiavi (Corriere della Sera):
C’è un vento di stupida emulazione americana dietro l’imbrattamento della statua di Indro Montanelli […] Montanelli è stato un simbolo, il testimone di un secolo, un monumento lui stesso per il giornalismo e per la cultura liberale aperta al dissenso.
Iconoclastie storiche e contemporanee
Tuttavia, lungi dal volerci imbrigliare nel terreno sterile delle ideologie e della politica, è necessario cercare di comprendere il fenomeno delle iconoclastie, evitando di adottare approcci troppo semplicistici o risolutori. Appare chiaro che, di fronte ad atti di distruzione di monumenti, effigi e statue non si può restare indifferenti. Non tanto sul piano politico, quanto piuttosto sul piano epistemologico e antropologico.
Tutti questi aneddoti ci mettono di fronte a una questione tanto secolare quanto irrisolta e attuale. Si tratta del rapporto tra uomo e immagini. Quelle immagini che l’uomo crea e che egli stesso è in grado di distruggere.
Le immagini e i filmati della furia iconoclasta, che recentemente si è abbattuta contro statue e monumenti, hanno effetto sulla sensibilità storico-culturale, ma non sono affatto qualcosa di esclusivo o stupefacente. Per secoli, tendenze iconoclaste hanno attraversato la storia delle culture umane e per parecchio tempo, in buona parte ancora oggi. La pratica delle iconoclastie è stata da sempre legata soprattutto al versante religioso.
Tra i primi casi riportati nella storia della Cristianità occorre sicuramente citare quello di Giovanni VII Grammatico, patriarca di Costantinopoli. Questi era frequentemente propenso alla distruzione di effigi religiose raffiguranti Cristo, i Santi o altri personaggi biblico-cristiani. Finché il Secondo Concilio di Nicea, del 787 d.C., non permise di sistemare le cose. Fu così stabilita, una volta per tutte, la legittimazione teologico-dottrinale delle rappresentazioni di immagini sacre e votive. Una legittimazione resa possibile attraverso la distinzione dei concetti teologici di venerazione e adorazione.
Quando però si parla di iconoclastie religiose in epoca contemporanea non si può non pensare alle violenze iconiche perpetrate negli ultimi decenni da gruppi di jihadisti verso siti storico-archeologici. Questi erano percepiti come una minaccia rispetto alla sensibilità islamica e come una contaminazione della purezza culturale dell’Islam, posta in antitesi alla presunta degenerazione della civiltà cristiano-occidentale.
Tra gli eventi più significativi si ricorderà certamente la distruzione, anzi l’esplosione, delle colossali statue del Buddha nella valle di Bamiyan, in Afghanistan. Avvenne per mano talebana il 12 marzo del 2001. Sei mesi più tardi le Twin Towers sarebbero esplose sotto gli occhi attoniti e sconcerti del popolo statunitense.
Un altro caso molto più recente è poi quello relativo al sito archeologico siriano di Palmira. Anche in questo caso, gruppi di militanti dell’Isis hanno innescato cariche di esplosivo, provocando il danneggiamento parziale (fortunatamente) di alcune sezioni del sito. Alla distruzione è seguita la decapitazione del direttore del museo di Palmira, Khaled al Asaad, avvenuta il 18 agosto 2015.
Un altro evento pochi mesi prima. Il 26 febbraio 2015, un gruppo di militanti dell’Isis aveva fatto a pezzi, a colpi di asce e martelli, diverse statue assire esposte al museo Ninawa a Mosul. L’evento era stato registrato in un filmato diffuso in rete, per poi scoprire che la maggior parte di quelle statue distrutte e abbattute erano in realtà copie in gesso di originali, conservate altrove.
Iconoclastie come atti di affermazione dell’immagine
Quest’ultimo aneddoto relativo al museo di Mosul (uno di tanti esempi) pone in risalto un aspetto significativo delle iconoclastie. Distruggere una statua, un manufatto, un’opera o un monumento non significa soltanto distruggere l’oggetto in sé, ma significa anzitutto cercare di distruggere l’immagine di cui quell’oggetto è simbolo. Potrebbe sembrare una banalità, ma è opportuno sottolinearlo. Bisogna ricordare che, quando un oggetto portatore d’immagine viene eliminato, non viene eliminato in quanto statua o monumento, ma in quanto immagine.
In altre parole, l’atto iconoclastico non si abbatte sul suo valore materiale o storico, ma ancora prima sul suo valore di immagine. Sul suo essere referente e rappresentante di qualcosa o qualcuno percepito come una minaccia o come un problema (sociale, culturale, politico ecc.).
La resa visiva dell’atto iconoclastico avviene filmando e poi diffondendo sul web gli atti della distruzione dell’oggetto. Ha quindi una sua carica rappresentativa che, sotto il profilo dialettico, innesca un fenomeno paradossale. Porta alla produzione di un’immagine che rappresenta però qualcosa che viene distrutto. Una sorta di affermazione della negazione o di produzione della distruzione.
In questo senso, apparirà contraddittorio negare un’immagine. Distruggerla, danneggiarla e annientarla significa anche affermarla e sottolineare il potere che essa esercita sulla memoria storica e collettiva. Il compianto Christo, con i suoi “impacchettamenti”, era ben consapevole di questa forza insita nell’oblio e nel nascosto.
Sotto questo profilo, bisogna considerare una delle chiavi di lettura possibili per comprendere i recenti fenomeni di iconoclastie, che dettano tanto clamore, ma che in realtà appartengono a una tradizione secolare: quella di considerare l’atto iconoclastico non come un atto di mera distruzione, ma come un atto di affermazione.
Quando si distrugge un’immagine (di un personaggio o di una divinità) si afferma e si riconosce la forza di quell’immagine e di quel personaggio rappresentato in immagine (Colombo, Montanelli…). Ecco perché l’iconoclastia, intesa in senso stretto, dal greco eikon, immagine e klao, distruzione, non può che essere destinata a un perenne fallimento. Un’immagine non viene mai davvero distrutta, poiché nel momento in cui viene attaccata, è anche, al contempo e inevitabilmente, riaffermata.
Quindi non c’è nulla di cui aver timore, sul piano della memoria storica, per quanto riguarda questi atti iconoclastici, per cui molte persone hanno manifestato lo spauracchio di una distruzione delle radici storico-culturali.
Finché qualcosa viene creato o distrutto non viene mai neutralizzato, ma sempre affermato. Ecco perché questi tentativi di demolizione dei monumenti non possono che fallire. L’arma più pericolosa contro la memoria (storica o sociale) non è la distruzione, bensì l’indifferenza.
FONTI
Studio personale dell’autore
Pinotti A., Somaini A., Cultura Visuale. Immagini Sguardi Media Dispositivi, Einaudi-Piccola Biblioteca Einaudi, 2016