La motivazione è una variabile complessa: è riduttivo vederla come attivata da uno stato di bisogno e conseguenza di premi e punizioni, come hanno sostenuto in passato i comportamentisti.
In una prospettiva più articolata, la motivazione sorge nel momento in cui l’individuo si pone obiettivi rispetto a risultati che vuole raggiungere o evitare. Inoltre, per quanto un premio o un rinforzo possano incentivare una motivazione, comunque ciò dipende dalla valutazione soggettiva che l’individuo fa del rinforzo stesso. Un premio, infatti, non viene assorbito passivamente, ma interpretato sulla scorta delle proprie credenze, che possono neutralizzarne o amplificarne l’impatto.
Oggi sappiamo anche, come vedremo meglio più avanti, che la motivazione è influenzata dalla valutazione delle proprie performance precedenti (che si influenzano vicendevolmente con le proprie competenze) e che questo influenza la percezione di poter essere efficaci nel raggiungere uno scopo. Come se non bastasse, accanto a tutte queste variabili che influenzano “l’accensione” della motivazione, va aggiunta la capacità di usare strumenti di automonitoraggio del comportamento e di regolazione emotiva affinché l’azione motivata si mantenga nel tempo fino al raggiungimento della meta.
Tutto questo, quindi, vale anche per lo studio. Rispetto ad esso, che tipo di motivazioni possiamo avere?
Secondo Dweck possiamo avere obiettivi di padronanza o obiettivi di prestazione. Se abbiamo un obiettivo di padronanza studiamo per il piacere della conoscenza, o per un altro scopo scelto senza sentire l’influenza altrui (anche solo immaginata). Se scegliamo un obiettivo di prestazione cerchiamo di ottenere risultati per essere apprezzati dagli altri, o per evitare di essere disapprovati. Sebbene secondo Dweck chi sceglie obiettivi di prestazione sia più vulnerabile allo sconforto e in generale a emozioni negative, Elliot sostiene che il problema non sia tanto lo studiare per piacer agli altri quanto il farlo guidati dalla paura di essere giudicati incapaci.
Sembra comunque preferibile che uno studente scelga di studiare guidato da obiettivi di padronanza e in questa direzione un docente può essere d’aiuto: se quando uno studente compie un errore l’insegnante ne sottolinea l’utilità per la sua comprensione dell’argomento, sta stimolando l’orientamento alla padronanza, se sottolinea l’errore per evidenziarne le conseguenze sulla valutazione della prova sta stimolando l’orientamento alla prestazione.
Seguendo la self-determination theory di Ryan e Deci, di cui abbiamo parlato in un articolo precedente, possiamo dire che i bisogni psicologici di autonomia, competenza, relazionalità possono essere soddisfatti in ambito scolastico dai docenti proponendo attività che ne tengano conto, ad esempio stimolando il lavoro di gruppo (che favorisce la relazionalità). Di fronte a compiti che proprio non piacciono allo studente, invece, quello che si può fare è renderli più accettabili facendo interiorizzare qualche buona ragione per svolgerli.
La motivazione ad apprendere è favorita anche dall’interesse, da considerare come attrazione di un soggetto per un certo oggetto o attività, che orienta l’attenzione e il coinvolgimento. Sappiamo che accanto a interessi determinati dalla predisposizione durevole del singolo ci sono quelli favoriti dalle caratteristiche dell’ambiente. Così, nel campo dell’apprendimento, posto che i gusti di uno studente sono poco modificabili, ci si può concentrare sulle caratteristiche della stimolazione ambientale per rendere gli studenti più motivati. L’interesse in classe, quindi, è favorito ad esempio da: frequente interazione libera per l’espressione di idee, tra compagni e col docente, presentazione di argomenti nuovi, uso di uno stile narrativo che includa l’uso di storie, stimolazione cognitiva attraverso sfide e giochi.
Uno studente che ha attivato un comportamento motivato si crea delle aspettative di riuscita sulla base del proprio senso di autoefficacia, cioè l’autovalutazione di quanto si è capaci di organizzare una specifica sequenza di azioni per raggiungere un determinato obiettivo. Va distinta dal concetto di sé, che è una valutazione generale su un campo (es. la bravura nello studio del diritto), laddove l’autoefficacia è compito-specifica (es: l’esame di diritto privato). Il proprio senso di autoefficacia dipende innanzitutto dalla valutazione delle proprie prestazioni precedenti in compiti analoghi. Poi essa è influenzata, anche in ordine decrescente di importanza, da come si valutano i risultati degli altri in compiti precedenti, dalle capacità persuasive ed esortative di altri a convincerci, dalla valutazione di propri parametri fisiologici come il livello di sudorazione nello svolgimento.
Come si vede, la motivazione ad apprendere (ma anche la motivazione in generale) è un fenomeno estremamente complesso, ma in una certa misura essa è plasmabile e quindi su di essa si può lavorare bene per potenziarla nei contesti educativi.
FONTI
Mason L. (2016), Psicologia dell’apprendimento e dell’istruzione, Bologna, Il Mulino
CREDITS
Copertina
Immagine 1