Joseph Beuys

Joseph Beuys e l’etica del «Siamo tutti artisti»

Anche in arte, a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Così lo sguardo cinico e disincantato della Pop Art sulla società dei consumi non ha messo proprio tutti d’accordo. Al polo opposto del modello incarnato da Andy Warhol si erge dunque l’arte concettuale. Questa, invece di sfruttare l’arte ai fini del consumismo, si imbarca in un’indagine autoreferenziale sulla natura dello stesso linguaggio artistico. Tra i suoi più audaci rappresentanti emerge il tedesco Joseph Beuys, che vede l’arte come un’etica tesa a sottolineare le contraddizioni della realtà moderna e a stimolare la creatività individuale.

Nonostante la stima reciproca, il confronto Warhol e Beuys è significativo, poiché ci consente di capire le differenze tra l’arte europea e l’arte americana negli anni ’70. Se la Pop Art porta in alto la bandiera dell’ottimismo sulla scia del successo del capitalismo americano, il Concettuale recupera quella crisi di coscienza che da sempre accompagna l’intellettuale europeo. Questa è intesa come frutto di un passato ingombrante, con il quale invece il Nuovo Continente non si trova a dover fare i conti.

Una vita sul filo del rasoio
Beuys
Joseph Beuys

Nato nel 1921 a Krefeld, in Germania, Joseph Beuys affianca sin da giovane la sua attività artistica all’interesse per le scienze naturali e per la politica. Durante la Seconda Guerra Mondiale si arruola nella Luftwaffe, l’aviazione militare nazista.

Un incidente di volo gli costa quasi la vita e si salva solo grazie alle cure di nomadi Tatari, che gli cospargono il corpo di grasso e lo avvolgono nel feltro. Sono materiali che diventeranno fondamentali, insieme ad altri elementi poveri, nella sua ricerca.

Una volta finita la guerra insegna all’Accademia di Düsseldorf e partecipa alla fondazione del gruppo Fluxus. Si tratta di un network di artisti che aspira a superare la tradizionale concezione di estetica, rivendicando l’artisticità di quei gesti elementari e gratuiti, che scorrono nel flusso della quotidianità.

In questa cornice realizza opere come Fat Chair (1963). Colloca, su una vecchia sedia di legno, un prisma triangolare di grasso. Qui, Beuys recupera il concetto di arte totale, riportando la creazione artistica al piano terra del vissuto quotidiano, dal quale nessuno è escluso. “Ogni uomo è artista”, ma la sua azione creativa può avvenire solo attraverso una presa di coscienza della natura e della sua energia.

L’arte è un’etica per tutti

Attraverso le sue installazioni e performance tanto controverse quanto geniali, Beuys si fa portavoce di un impegno morale e politico. Vuole educare il pubblico a una consapevolezza critica, affinché riscopra una percezione personale dell’arte. Non è un caso che i concettualisti facciano della riflessione sull’arte il centro della propria ricerca. L’oggetto artistico viene messo in discussione, non tanto perché non sia più fonte di verità, quanto perché alimenta un mercato votato alla mercificazione delle opere e della creatività.

In ogni sua opera, Beuys ricerca una costante armonia tra sé stesso, l’uomo e la natura che lo circonda. L’arte è così un mezzo di liberazione personale e sociale, attraverso il quale si cerca di rimarginare quella frattura apparentemente insanabile tra l’individuo e la società di massa che lo risucchia.

Ecco che Beuys si pone come profeta della società industrializzata, artista-sciamano che varca i confini inesplorati dell’arte, mettendo a contatto la vita con la morte. Nell’azione How to Explain Pictures to a Dead Hare (1965), l’artista culla una lepre morta, parlandole d’arte, con la testa cosparsa di miele e di foglie d’oro.

Coyote. I like America and America Likes Me
Beuys
Coyote. I like America and America likes me (1974)

Con la performance Coyote (1974), l’artista affronta in prima persona il rapporto contraddittorio tra umanità e natura, tra l’individuo addomesticato dell’oggi e gli istinti primordiali delle civiltà di ieri.

Avvolto in una coperta di feltro e con in mano un bastone da pastore, Beuys è rimasto chiuso per alcuni giorni nella Galleria d’arte René Block a New York, in compagnia di un coyote selvatico, simbolo dell’America primitiva e selvaggia. Superati i primi giorni di tensione, il rapporto tra i due si è progressivamente normalizzato, grazie anche alla condivisione delle semplici azioni quotidiane alla base della sopravvivenza, come il dormire o il mangiare.

Beuys diventa così l’anello di congiunzione tra due universi lontanissimi. L’antico mondo disinibito e selvaggio del quale ormai rimane solo un velato ricordo e la dinamica realtà contemporanea asservita alle leggi del capitalismo. Quella che trasforma in merce tutto ciò che incontra sulla sua strada.

L’artista apre le porte a una riconciliazione tra natura e cultura, accrescendo la propria sensibilità verso quei valori del mondo naturale che la moderna società tecnologica ha quasi totalmente rimosso. Una difficile sfida alla quale noi spettatori siamo chiamati ogni giorno.


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