Quintanilla lavorava come collaboratrice domestica in due appartamenti, il guadagno mensile si aggirava intorno ai cento dollari. Vive con la famiglia in una baracca nei pressi di San Salvador, un insieme di lamiere in ferro, tela e bambù, senza acqua corrente e elettricità. Gesselle Mariona abita in una zona periferica di San Salvador, ha terminato l’anno scorso gli studi (tramite una scuola a distanza) ma non ha un impiego stabile. Per questo si manteneva pulendo un paio di appartamenti alla settimana, per due o tre volte. Lo stipendio medio giornaliero variava dagli otto ai dodici dollari. La giovane donna ha ventidue anni, vive con due figli.
Aracely Coto vive a Cuscatancingo, per lavoro puliva due appartamenti. Vive con i figli, il più piccolo ancora in età scolastica e il maggiore, vent’enne, attualmente disoccupato. Marta Castaneda lavorava come collaboratrice domestica per la stessa famiglia da diciassette anni. E l’elenco potrebbe continuare.
I tempi verbali sono tutti al passato perché nessuna di queste lavoratrici svolge più il suo lavoro da quando il governo di El Salvador ha proclamato la quarantena generale. La situazione in cui versano queste lavoratrici non è certo nuova rispetto al passato, la povertà e l’incertezza sono infatti sempre stata una costante. Questa categoria di lavoratrici vive in un limbo giuridico in cui i datori di lavoro sono liberi di dire e fare quello che vogliono.
La lavoratrici domestiche: una categoria inesistente
Il tutto avviene in una sorta di connivenza statale. Nonostante sia in vigore un codice del lavoro con otto articoli dedicati al lavoro domestico, di fatto ci si limita a mettere per iscritto la possibilità del datore di lavoro di procedere autonomamente. La legge consente al datore di lavoro di far sì che un accordo verbale abbia lo stesso valore di un documento scritto. Il salario è del tutto arbitrario, ci sono sindacati che denunciano la presenza di lavoratrici con uno stipendio giornaliero non superiore ai 2,5 dollari. Infine, è sì stabilito il riposo settimanale, ma il datore di lavoro può richiedere la presenza della lavoratrice e questa è obbligata a lavorare.
Nel momento in cui il presidente di El Salvador ha annunciato la quarantena, sono state elencate alcune tipologie di lavoro a cui era permesso continuare a spostarsi. Chiaramente le collaboratrici domestiche non rientravano in questa lista. Le persone sopra elencate sono tutte accomunate dal fatto di non aver percepito alcuna indennità o supporto statale, nonostante lo Stato si rendesse conto della situazione ai limiti della sopravvivenza di molte di queste famiglie.
Il governo ha garantito un assegno da trecento dollari alle famiglie considerate in difficoltà, molte delle quali affermano però di non aver ricevuto nulla. Si è garantita inoltre la sospensione del pagamento delle bollette di acqua, luce, gas e affitto. Sembrerebbe superfluo sottolineare l’inutilità del provvedimento a fronte di famiglie intere che vivono in baracche senza acqua corrente in casa.
La pandemia coincide con l’anniversario della presidenza Bukele
L’avvento del Covid-19 permette di tracciare un bilancio poco favorevole nei confronti della presidenza Bukele, che il 1 giugno scorso ha celebrato un anno alla sua entrata in carica. Riguardo al controllo della pandemia, lo Stato ha denunciato all’incirca 2000 violatori della quarantena, detenuti in strutture definite “centri di confinamento”. Qui, distanza di sicurezza e condizioni igienico-sanitarie, necessarie soprattutto in un contesto del genere, non vengono assolutamente rispettate.
Più preoccupante ancora, se possibile, è interrogarsi sui motivi per cui quelle 2000 persone siano state considerate “violatori della quarantena”. Molte di queste erano persone uscite allo scopo di comprare medicinali o cibo, non certo per la movida, per usare un termine tanto caro ai più quanto abusato. Un giovane ragazzo è stato fermato mentre tornava dal proprio lavoro in una piantagione di zucchero ed è stato detenuto in un centro per alcuni giorni. Tutto ciò nonostante l’attività da lui svolta fosse considerata essenziale e, fatto non trascurabile, nonostante fosse minorenne.
Stato di polizia all’ordine del giorno
Tale metodologia tuttavia non dovrebbe sorprendere più di tanto, purtroppo. Nonostante una campagna elettorale fatta sbandierando promesse relative alla concessione di sempre maggiori diritti umani, nella realtà dei fatti la situazione è ben diversa. Il primo anno di presidenza ha visto infatti un inasprimento di metodi brutali e violenti attuati dalle forze di polizia, oltre a diversi discorsi pubblici volti a screditare le organizzazioni dei diritti umani.
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Ha fatto il giro del mondo la fotografia, diffusa dal governo, dei detenuti nel carcere di Izalco, a San Salvador. In mutande, ammassati uno contro l’altro ma con l’immancabile mascherina, indossata da ciascun individuo. L’immagine vorrebbe testimoniare la vittoria statale su una guerra tra gang criminali che avrebbe causato decine di morti in pochi giorni. Il governo non solo si è occupato della trasmissione della fotografia, ma essa è stata accompagnata da un tweet di Bukele in cui si sottolineava come la polizia abbia il permesso di usare “forza letale” nei confronti di queste bande criminali.
Al momento, le recenti stime riguardo i casi accertati di coronavirus (dalla John Hopkins University) parlano di 2109 contagiati e trentasette decessi. A una conferenza stampa riguardante l’annuncio della donazione di duecentocinquanta ventilatori da parte degli Stati Uniti, il presidente Bukele ha affermato di aver usato l’idrossiclorochina come profilassi, aggiungendo che “il presidente Trump l’ha assunto”. Una garanzia di successo insomma.
Internazionale, numero 1360, Lavoratrici invisibili, Valeria Guzman, pp. 52 – 55