Vespe

Quando la vespa le aveva punto la parte interna dell’indice della mano sinistra, lei per un attimo era rimasta immobile. Aveva sentito il pizzico sulla pelle sottile, la vespa era volata via quasi subito ed era scomparsa dalla sua vista. Sul momento non aveva detto nulla. Non aveva reagito, non si era mossa, non aveva quasi respirato, colta alla sprovvista da quell’attacco improvviso e apparentemente casuale mirato a farle del male. Perché poi il dito si era gonfiato e aveva iniziato a farle male.

Sua madre si era alzata dalla panchina, perplessa, quando l’aveva vista da lontano immobilizzarsi accanto allo scivolo. L’aveva osservata con la mano sugli occhi per ripararsi dal sole accecante di quel pomeriggio di fine giugno. Poi le era corsa in contro.

«Tesoro», le aveva detto sollevandole il mento per guardarla in faccia. Le aveva scrutato il visino impassibile ma leggermente contratto dal dolore.

«Mi ha punta una vespa.»

Sua madre le aveva sollevato il dito gonfio, ci aveva passato una mano sopra.

«Non è niente.»

Si era girata ed era tornata al suo posto al sole sulla panchina.

Lei l’aveva guardata andarsene col passo lento e indolente, senza quella fretta che le aveva visto addosso quando l’aveva raggiunta.

Poi era risalita sullo scivolo e si era data la spinta per atterrare col sedere per terra. Una volta, due, tre, quattro, con sua madre dall’altra parte del parco, lontana ma non troppo, l’avrebbe riconosciuta tra mille donne diverse, sarebbe stata quella con la testa leggermente inclinata di lato in una continua oscillazione da destra a sinistra, da sinistra a destra.

Lui l’aveva guardata ma non l’aveva vista veramente.

«Mi senti? Mi stai ascoltando?»

Lei era rimasta in piedi davanti a lui, tremava dentro e cercava di non darlo a vedere stringendo tutti i muscoli e i tendini del corpo.

«Perché mi stai lasciando? Fino a ieri dicevi di amarmi più della tua stessa vita.»

Aveva fissato i suoi occhi limpidi, vacui, quasi trasparenti. Le palpebre si erano abbassate come un velo. Aveva stretto le ciglia. In quel gesto quasi impercettibile aveva scoperto un turbamento nuovo e incomprensibile in lui. Non l’aveva mai notato.

«L’hai detto per dirlo, vero? Ma perché?»

Era più forte di lei. Aveva bisogno di capire. Ma lui quella sera era tornato a casa, aveva buttato il cappotto sul divano, l’aveva guardata e le aveva detto penso sia meglio finirla qua.

Ma finirla dove, esattamente? Per un attimo non ci aveva creduto. Poi era rimasta paralizzata nella catastrofe. Il mondo le era letteralmente crollato addosso. Lui era il centro e il sostegno di tutto. Una vita senza di lui non riusciva neanche a immaginarsela. Non era fattibile, semplicemente. Non poteva abbandonarla. Non poteva andarsene. Non dopo tutto quello che le aveva detto.

Poi lui se n’era andato di casa lasciandosi dietro le sue cose.

Allora lei aveva sentito la pelle bruciare.

Il giorno in cui aveva compiuto tredici anni aveva deciso di catturare una vespa.

Era uscita in giardino con uno straccio da cucina e un barattolo di vetro. Si era avventata sulla malcapitata come le aveva insegnato suo padre, con un movimento della mano da destra a sinistra, l’aveva intrappolata nello straccio e l’aveva buttata nel barattolo. Aveva chiuso il tappo. Era rimasta a guardarla dimenarsi e dibattersi contro il vetro. Una volta sigillata la chiusura con due giri di pellicola trasparente, aveva passato due giorni ininterrotti a fissare la bestia intrappolata.

Il terzo giorno la vespa era morta soffocata.

«Mi dispiace, tesoro.»

Aveva guardato sua madre pronunciare quelle tre parole in maniera distratta mentre preparava la cena. Eppure quando le aveva aperto la porta l’aveva abbracciata fino quasi a soffocarla.

«La mia bambina, la mia bambina» aveva sussurrato con un trasporto e un amore che l’avevano fatta sussultare.

E ora era tutta affaccendata intorno alla pentola del brasato e quasi si era dimenticata che lei era lì.

«Mamma»

Con le braccia incrociate sul tavolo l’aveva guardata, la testa perennemente oscillante da destra a sinistra, da sinistra a destra, ora solo coperta dai capelli grigi anziché biondi.

«Dimmi»

«Perché?»

«Non lo so.»

Il mestolo era rimasto appoggiato in bilico sul bordo della pentola e nessuna delle due aveva più detto nulla.

CREDITS

Copertina

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.