Commissione diritti umani dell’Onu: l’Italia viola i diritti politici

La martellante e pervasiva industria mediatica è ci fa sembrare di essere sempre al corrente di tutto. Eppure, spesso piccole (ma rilevanti) notizie passano in sordina. Questo, in un certo senso, mostra come si può essere disinformati in un mondo in cui vengono pubblicati articoli e post ogni millesimo di secondo. Uno di questi fatti è la “condanna” dell’Italia da parte della Commissione dei Diritti Umani, agenzia indipendente parte delle Nazioni Unite. In realtà, la condanna risale al 6 novembre 2019, ma i termini per adeguarsi alle direttive scadranno a fine mese.

Si tratta di una condanna in base al Patto internazionale sui diritti civili e politici adottato il 16/12/1966 e ratificato il 23/3/1976. L’Italia è accusata di ostacolare l’esercizio del diritto di partecipazione popolare alla vita politica attraverso lo strumento del referendum. L’indagine è stata avviata su richiesta di due privati, Mario Staderini e Michele di Lucia, esponenti dei Radicali, nel lontano 2015, attraverso la mediazione della International Human Rights Clinic of Loyola Law School.

Nella loro esposizione alla Commissione diritti umani, gli autori evidenziano gli ostacoli disseminati lungo il cammino per indire un referendum: dalla raccolta firme alla pubblicizzazione dell’iniziativa. Le critiche dei Radicali, che da sempre promuovono la partecipazione politica popolare, nascono in seguito agli eventi del 2013, quando tentarono di proporre ben sei referendum.

La condanna della Commissione è arrivata in seguito alla constatazione che l’Italia non ha rispettato nella loro pienezza gli articoli 2 e 25 del già citato Patto internazionale sui diritti civili e politici.

Quali referendum ci sono in Italia

Sebbene il referendum propositivo non esista in Italia, in Senato è depositato il disegno di Legge Costituzionale A.S. 1089, sull’introduzione di tale referendum. Il progetto però, elaborato durante il governo Conte I, è fermo dal 6 marzo 2019. Inoltre, essendo un progetto di Legge Costituzionale, richiede un processo lungo e dei passaggi precisi che potrebbero necessitare anche un referendum, in questo caso costituzionale.

Proprio il referendum costituzionale è uno dei referendum presenti nel nostro ordinamento. Viene utilizzato per confermare una legge costituzionale o respingerla e non ha bisogno di quorum (limite minimo di partecipanti). Questo referendum è necessario solo se la Legge Costituzionale non passa la seconda lettura nelle due Camere con almeno i 2/3 dei voti. In caso non si tratti di Legge Costituzionale viene chiamato referendum confermativo.

C’è poi il referendum consultivo, che non è vincolante ma permette al cittadino di esprimere il proprio parere su una determinata questione.

Infine, il referendum abrogativo, stabilito dall’articolo 75 della Costituzione,  ha lo scopo di abrogare una legge o parte di essa. L’utilizzo di questo strumento ha portato al diritto all’aborto, al divorzio e non solo, spesso su iniziativa dei Radicali. Questo referendum ha un quorum del 50%+1 perché sia valido e la vittoria del “sì” implica l’abrogazione della legge in discussione. Proprio questa tipologia di referendum è stato sottoposto dai Radicali alla Commissione dei Diritti Umani.

Oltre ai referendum esistono anche altri strumenti definibili di “democrazia diretta”, tra i quali ricordiamo i disegni di legge di iniziativa popolare e le petizioni. Anche essi sono tutelati dalla Costituzione agli articoli 50 e 71.

Come si arriva al referendum abrogativo

Ma quali sono quindi queste violazioni di cui parlano i radicali? Come riscontrabile nella trascrizione della condanna, gli esempi portati dai Radicali sono molti, anche se non tutti sono stati considerati effettivamente violazioni. Innanzitutto, per indire un referendum devono essere raccolte almeno 500,000 firme su documenti appositi; questi ultimi devono essere datati e poi firmati e timbrati da uno specifico pubblico ufficiale, il quale deve essere compensato dai promotori del referendum.

Inoltre, per ogni firma raccolta vi deve essere un certificato, oltre al documento con la firma. Entro tre mesi dalla validazione delle firme, tutto il materiale deve essere sottoposto alla Corte di Cassazione, ma solo tra l’1 gennaio e il 31 settembre. Questa si occuperà di scrutinare il numero di firme per poi passare la palla alla Corte Costituzionale che decide l’ammissibilità del referendum. Se il referendum è approvato, il Presidente della Repubblica si occupa di scegliere una data tra il 15 aprile e il 15 giugno. In caso di scioglimento delle Camere, il referendum viene rimandato a 365 giorni dopo le elezioni. Oltre a ciò, come già detto, vi è un quorum da raggiungere perché il referendum sia valido.

Le criticità maggiori

Oltre alla macchinosità del processo, i Radicali hanno scelto di elencare delle criticità evidenti e fattuali. Una di queste è la difficoltà a reperire pubblici ufficiali che si occupino di validare i documenti. In teoria, essi dovrebbero autenticare il tutto entro due giorni lavorativi, ma i ritardi sono stati frequenti. Per di più, tutta la documentazione deve essere stampata a spese proprie.

Un altro ostacolo è l’assenza di informazione verso il pubblico da parte della RAI e delle autorità locali sullo svolgimento del referendum. Neppure i siti dei comuni dove era possibile firmare avevano pubblicato i dettagli sul luogo e l’orario. È infatti impossibile raggiungere il quorum senza la diffusione della notizia da parte dei media nazionali.

Inoltre, denunciano la mancata collaborazione delle autorità, che alla richiesta di aiuto rispetto alle difficoltà riscontrate si sono limitate a emanare due circolari ai prefetti sui territori. Tuttavia, come gli eventi hanno dimostrato, la loro applicazione non è stata controllata, rendendole di fatto inutili.

C’è poi la questione del quorum che può diventare sensibile se le maggiori forze politiche, temendo una vittoria del referendum, esortano i loro elettori all’astensione. La richiesta è quindi quella di moderare questo quorum, prendendo ad esempio legislazioni come quella della California o della Svizzera.

Se è vero che, in base agli articoli 25 e 2 (2) del sopracitato Patto, non è obbligatorio che uno Stato si doti di strumenti di democrazia diretta, tuttavia, qualora essi siano presenti nell’ordinamento nazionale, lo Stato è tenuto a permetterne l’utilizzo senza indebiti ostacoli. Ed è proprio su questo aspetto che si è focalizzata la denuncia dei due relatori.

Cosa ha deliberato la commissione

La Commissione, dopo le rettifiche dei rappresentati dello Stato Italiano e le contro-rettifiche dei due privati, è giunta a delle conclusioni. In primo luogo, conferma che i promotori del referendum hanno sfruttato tutte le possibilità di far sentire la propria voce attraverso i canali nazionali, acconsentendo quindi a esaminare il caso.

La commissione diritti umani, se da una parte nega che ci siano restrizioni o distinzioni per quanto riguarda la partecipazione pubblica alla vita politica, dall’altra ammette che i requisiti devono essere ragionevoli e non rappresentare un ostacolo. Inoltre, riconosce la necessità del governo di limitare la spesa pubblica e quindi il numero dei pubblici ufficiali disponibili. Infine, allo stesso tempo, sottolinea come l’assenza di sufficienti pubblici ufficiali che possano autenticare le firme nei tempi garantiti sia una restrizione non scusabile dei diritti di cui all’articolo 25.

La Commissione critica anche la mancata collaborazione delle autorità che hanno solamente emesso delle circolari. Tuttavia, non ritiene che esistano discriminazioni in base all’affiliazione politica dei promotori del referendum; l’esistenza di supporto diversificato per referendum diversi è sintomo di democrazia.

La Commissione conclude dicendo che anche lo stesso processo di autenticazione delle firme è piuttosto irragionevole e restrittivo date le spese economiche da affrontare non accessibili a tutti. Tuttavia, riconosce come ciò possa essere legato alla necessità di contenere l’utilizzo delle risorse e quindi approva che il rimborso sia concesso solo in caso di effettivo svolgimento del referendum.

Nondimeno, la sentenza è di condanna per violazione dei suddetti articoli. Lo Stato dovrebbe dunque porre rimedio a questa situazione e risarcire i cittadini offesi. Come abbiamo detto, la sentenza è di novembre e i limiti per l’azione dovrebbero scadere a fine maggio.

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