Il rimorso: fallimento o successo?

Success is stumbling from failure to failure with no loss of enthusiasm
(Il successo è la capacità di passare da un fallimento all’altro senza perdere l’entusiasmo)

Così avrebbe detto Winston Churchill, in pieno accordo con le altre migliaia di grandi voci del passato che nella storia hanno tramandato un messaggio unanime molto chiaro: il fallimento non è sbagliare, ma smettere di provarci. Non a caso, anche oggi, la più grande forma di fallimento è il rimorso. Perché?

Innanzitutto: cos’è? Il rimorso è la sensazione che affligge un individuo quando sente dentro di sé che, se avesse preso decisioni migliori o soltanto diverse, in passato, il suo presente sarebbe migliore. Essenzialmente, il dubbio di aver commesso un errore che ha condizionato la propria vita in peggio e che risulta ormai irrisolvibile. Ciò porta chiaramente a un forte senso di sconforto, rassegnazione “improduttiva” e soprattutto incessanti sensi di colpa.

Esistono diversi studi che hanno dimostrato l’esistenza di un certo rapporto, se così si può dire, tra i fattori che provocano il rimorso e l’intensità di questo: innanzitutto, le persone sono tendenzialmente portate a rimpiangere più le occasioni perse e le scelte mancate che non quelle realmente fatte; inoltre, più sono numerose le possibilità tra cui scegliere, più è grande il rimorso che si prova nell’aver preso una decisione. Allo stesso modo, aumenta il rimpianto nel momento in cui la scelta fatta ha uno scarto minimo rispetto all’altra decisione che si sarebbe potuta prendere e che avrebbe creato, almeno nell’immaginario, una situazione più soddisfacente. Un esempio comune: non raggiungere il voto sperato dopo un colloquio perfetto solamente a causa di una domanda a cui non si è saputo rispondere, provoca molto più rancore verso di sé che non la consapevolezza di avere sbagliato dall’inizio alla fine. È come se più ci si avvicinasse all’obiettivo, più la delusione per non averlo raggiunto compromettesse l’intero percorso, per quanto buono e lodevole sia stato. In un certo senso è il “quasi” che vanifica ogni cosa, il confine tra soddisfazione e delusione si racchiude nell’essere “quasi” riusciti.

Kathryn Schulz ha ideato una suddivisione dei vari stadi del rimorso separandoli in cinque fasi principali:

Stadio 1 (denial): negazione della scelta presa con conseguente desiderio irrazionale di poter tornare indietro per evitare che accada. A ciò segue una ripetizione all’infinito della risposta che si sarebbe dovuta dare con il senno di poi nella mente dell’individuo, il quale si ripete più e più volte, come per rassicurarsi, il discorso perfetto che in realtà non è mai avvenuto;

Stadio 2 (bewilderment): sconcerto, incredulità e alienazione rispetto alla parte di sé che ha preso quella decisione senza riuscire più a comprenderla o a identificarsi con essa;

Stadio 3 (punishment): punizione verso se stessi. Dopo aver preso atto dell’errore si considera il castigo come prima forma istintiva di giustizia verso il torto commesso (nei confronti di se stessi);

Stadio 4 (perseveration): ripetizione delle precedenti fasi senza interruzione in una sorta di loop;

Stadio 5 (existential wake up): risveglio esistenziale, spinta che spinge al miglioramento.

In termini di statistiche, il rimorso è la seconda emozione più provata al mondo, immediatamente dopo l’amore. In tutto il mondo il 90% delle persone confessa di avere un grande rimpianto. Curioso è anche scoprire che il rimpianto più frequente (32%) riguardi l’educazione scolastica, seguita da carriera (22%), relazioni amorose (15%), relazioni parentali (10%), comportamenti personali (5,47%), tempo libero, gestione economica, famiglia, salute, amici, spiritualità e infine comunità. Le situazioni quotidiane in cui ci si pente più di frequente capita che siano anche le più superflue, infatti il 29% delle persone rimpiange di aver postato in passato foto inopportune o imbarazzanti sui propri social che potrebbero compromettere la carriera lavorativa, il 25% si pente di aver pubblicato certi selfie mentre il 31% vorrebbe non essersi mai fatto quell’insensato tatuaggio. Cosa insegnano allora i numeri? Ebbene, che alla fine dei conti il rimorso è universale, collettivo, comune e condiviso. Difficile trovare qualcuno che non si penta di almeno una decisione presa, non sarebbe umanamente possibile.

I rimpianti, il pentimento e il rimorso sono quindi armi a doppio taglio, in quanto se da un lato fanno mettere in discussione molti aspetti della propria vita presente, dall’altro possiedono la capacità di rivelarsi preziosissimi insegnamenti: lezioni indelebili che formano l’esperienza futura di un individuo e determinano il miglioramento della strada che da quell’errore è nata. L’umorismo verso di sé, il tempo che passa e cancella,  la forza di vedere i propri sbagli con occhio più obiettivo e meno drammatico sono altri modi utili a superare lo sconforto improvviso che da uno sbaglio può derivare.

Perciò, il rimorso è davvero da considerarsi sintomo di fallimento? Assolutamente no. Il rimorso insegna ad amare gli errori in quanto fonte di esperienza personale, che guarda caso è l’unica che ognuno tende a tener presente nella vita. La saggezza che deriva da uno sbaglio ripaga di gran lunga quell’ideale utopistico irrealizzato che ognuno desidera per sé. Perché è questo in fondo, solamente un ideale immaginario: ma si sa che l’immaginazione gioca spesso brutti scherzi.

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