Il teatro è il luogo delle forti emozioni. Fin dall’antica Grecia infatti, il teatro (come mezzo espressivo e artistico) era utilizzato a scopo educativo e persuasivo. A tal fine, il genere maggiormente rappresentato era la tragedia, meno rilevanza era invece attribuita alla commedia. L’idea era quella di impressionare lo spettatore attraverso l’emozione e l’empatia, in modo da raggiungere una purificazione interiore. Quanto valeva per la Grecia antica, resta valido nei secoli a venire, fino alla contemporaneità. I protagonisti delle tragedie sono tradizionalmente assassini, violentatori, ingannatori. Insomma personificano il Male, assumono in sé la totalità dei comportamenti poco idonei a un individuo che vive in società, come quello del tradimento.
Se è vero che il teatro è frammento di vita rappresentata e che il criterio di verosimiglianza è elemento necessario per la riuscita di uno spettacolo, non si può considerare il teatro un’imitazione della vita. Sarebbe piuttosto più corretto considerare il teatro un potenziamento della vita, una sua amplificazione. È necessario infatti che, prima di tutto, l’evento rappresentato sia degno d’interesse. La quotidianità della vita deve essere dunque lasciata da parte (a meno che l’intento sia esplicitamente la rappresentazione di quest’ultima) e al centro dello spettacolo devono essere posti eventi straordinari, corroborati da sentimenti potenziati ed emozioni amplificate. Tra i drammaturghi, Shakespeare sembra essere il miglior rappresentante di questo “teatro di potenza”, eversivo rispetto alla quotidianità dell’esistere. Tutte le sue tragedie hanno origine a partire da eventi straordinari, fuori dalla comune portata.
A scatenare le grandi tragedie shakespeariane non sono le piccole delusioni della vita quotidiana, ma grandi azioni o eventi. In particolare, analizzando l’infinità degli spettacoli teatrali, e tenendo conto delle singole molteplici alterità, si può notare un denominatore comune ricorrente. Nella maggior parte dei casi infatti, alla base della tragedia esiste un tradimento. Quest’ultimo costituisce spesso il motore della trama, la breccia che scatena l’incendio.
Con questo ragionamento non si intende di certo comprendere la totalità dei casi, ma svolgere una stima piuttosto interessante.
Ma cosa si intende per “tradimento”? “Tradire”, in latino significa “consegnare oltre”. Il significato del verbo latino allude a qualcosa di molto concreto, solo in un secondo momento traslato. In passato il tradimento consisteva infatti nella “consegna di qualcosa nelle mani del nemico”: un uomo, una proprietà, un territorio. Questo significato specifico si è poi nel tempo ampliato, assumendo anche un significato figurato. Il tradimento oggi è strettamente legato all’inganno e alla perdita di fiducia. La straordinaria capacità di Shakespeare consiste nel preservare nelle tragedie entrambi le sfaccettature del significato. Il tradimento sembra essere dunque un punto di partenza collettivo, un’origine essenziale da cui tutte le tragedie prendono corpo.
Il “tradimento” figurato: l’inganno
Nella maggior parte dei casi il “tradimento” assume le vesti dell’inganno; è un “tradimento” figurato, a volte metaforico. Emblematico risulta il caso di Amleto. Il tradimento costituisce infatti l’essenza stessa della vicenda. Ne è infatti l’innesto, l’evento necessario, poiché senza di esso, la tragedia non esisterebbe. Ancora prima dell’inizio del dramma infatti, Claudio avrebbe ucciso il fratello re, per ottenere il trono e sposare la regina. Di conseguenza, la tragedia di Amleto consiste proprio nel cercare di smascherare il tradimento fraterno e successivamente vendicarlo. In Romeo e Giulietta, la celeberrima tragedia d’amore, l’innocenza apparente dei due amanti, a un’analisi più acuta, sembra lasciare il posto a un’infedeltà. La forza dell’amore induce infatti i protagonisti a tradire gli affetti famigliari. E ancora in Macbeth, i protagonisti ordiscono un inganno tradendo la fiducia del re, con l’obiettivo di ucciderlo.
Il “tradimento” concreto: la consegna nelle mani del nemico
Shakespeare tuttavia conserva nelle tragedie anche il significato primitivo della parola. È il caso di due delle opere più celebri: Re Lear e Otello. Nel primo caso, il “tradimento” come “gesto di consegna di un oggetto” è esemplificato dalla messa al bando di Cordelia da parte di re Lear, il padre. Otello infatti abbandona Cordelia nelle mani dei francesi, convinto di un tradimento di fiducia. Il gesto di consegna costituisce un chiaro esempio di tradimento famigliare: il padre, accecato a causa di un egocentrismo smisurato, si priva dell’amore sincero della figlia. Nel secondo caso, l’oggetto che veicola il tradimento è un fazzoletto. Iago vuole infatti persuadere Otello dell’infedeltà della moglie, per indurlo alla vendetta.
E la commedia?
L’interesse che Shakespeare manifesta per il concetto di “tradimento” è talmente ampio da travalicare i confini della tragedia. Costituisce infatti anche la base di alcune commedie. L’intento drammaturgico appare tuttavia rovesciato e la risoluzione dell’inganno conduce a un esito felice. Rilevante è soprattutto ciò che accade in La tempesta, un testo di genere piuttosto ibrido, ma con finale lieto. Anche in questo caso, l’evento scatenante dell’intera trama è un tradimento. Prospero e Miranda sono infatti confinati su un’isola incantata a seguito di un inganno ordito dal fratello Antonio. Quest’ultimo infatti avrebbe spodestato Prospero dal ducato di Milano e lo avrebbe costretto all’esilio.
Più in generale, non è difficile immaginare quanto la complessa rete di inganni e malintesi possa costituire l’essenza della materia comica. Dalle commedie greche, passando poi per le commedie plautine, i protagonisti sono spesso vittime di giochi, scherni e intrighi. Ed è proprio questa rete di inganni e tradimenti a costituire il fulcro della comicità. Shakespeare getta uno sguardo attento e intelligente al repertorio classico. Di conseguenza le sue opere ripetono schemi comici classici, adattati al gusto contemporaneo.
Insomma il tradimento come inganno, gioco di equivoci, malinteso, sembra essere una costante delle opere del grande Shakespeare, quasi un principio sine qua non.