Quanto largo e benigno si dimostri talora il cielo collocando, anzi per meglio dire, riponendo et accumulando in una persona sola le infinite ricchezze delle ampie grazie o tesori suoi, e tutti que’ rari doni che fra lungo spazio di tempo suol compartire a molti individui, chiaramente poté vedersi nel non meno eccellente che grazioso Rafael Sanzio da Urbino […] con tutta quella modestia e bontà, che sogliono usar coloro che hanno una certa umanità di natura gentile e di graziata affabilità.
Giorgio Vasari
Lo scorso 6 aprile ricordo il cinquecentesimo anniversario della morte di uno dei maggiori pittori di tutta la Storia dell’Arte: Raffaello Sanzio (6 Aprile 1483 – 6 aprile 1520).
Morto a soli 37 anni, Raffaello è stato uno dei grandi maestri del Rinascimento italiano e uno dei tre eletti nella “triade vasariana” (costituita da Michelangelo, Leonardo e, appunto, Raffaello)
È sempre difficile trovare parole nuove per raccontare artisti di cui tanto si è già scritto, sopratutto artisti come Raffaello, il quale non fu solo un pittore magistrale e importante in quanto rappresentante della sua epoca, ma fu un pittore decisivo soprattutto per i secoli a lui successivi. Raffaello “l’urbinate” (come amava firmare i suoi lavori) fu assunto infatti come principale modello artistico sia dai manieristi del secondo Cinquecento (riscoperti grazie al lavoro dello storico dell’arte Federico Zeri), sia dai neoclassicisti del XVIII secolo.
Ecco dunque che Raffaello, con i suoi capolavori, non solo costituisce un “tassello prezioso” di un’epoca d’oro come il Rinascimento, ma anche un punto di partenza indispensabile per comprendere altri grandi maestri che si sono succeduti dopo di lui.
Può essere utile, data la ricorrenza per i 500 anni dalla sua morte brevemente quelle che sono state le tappe fondamentali della carriera artistica di Raffaello Sanzio, maestro dell’armonia e della bellezza.
L’infanzia a Urbino
Raffaello nasce il 6 aprile del 1483 ad Urbino, uno dei principali poli culturali e artistici del ‘400, in quanto sede del ducato di Federico da Montefeltro. Questo, al pari di famiglie come i Medici a Firenze, i Gonzaga a Mantova o gli Sforza a Milano, aveva accolto a corte alcuni dei maggiori artisti e intellettuali del tempo quali, ad esempio, Piero della Francesca (altro grande rappresentante del Rinascimento italiano).
Figlio di Giovanni de’ Santi (da qui il cognome Sanzio) anch’egli pittore, ma poco noto e anzi a detta di molti dell’epoca “pittore mediocre”, Raffaello venne fin da subito inserito dal padre nel mondo dell’arte. Fu lo stesso padre che, inizialmente, gli fece da “primo maestro” o “iniziatore”, scorgendo in lui, già da piccolo, un talento artistico che doveva essere coltivato.
Perugia e la “svolta”
Proprio in vista del talento pittorico scorto in lui, dopo diversi anni di apprendistato “famigliare” fu lo stesso Giovanni Santi che scelse di trasferirlo a Perugia per studiare nella bottega di Pietro Perugino, all’epoca considerato da molti uno dei maggiori artisti del centro Italia.
Lo stesso Perugino, vedendo alcuni disegni del giovane Raffaello, decise di accoglierlo nella sua bottega con grande entusiasmo, notando anch’egli nel giovane un certo estro e talento, che già il padre aveva intuito in lui.
Così, tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento, ebbe inizio il periodo più importante per la formazione artistica di Raffaello, un periodo in cui poté apprendere molto dal maestro Perugino, limando e perfezionando le sue doti pittoriche.
Così, in pochi mesi, “l’urbinate” ebbe modo addirittura di eguagliare il maestro, imitando la sua pittura a tal punto che non si riuscivano quasi più a distinguere le opere dell’allievo da quelle del mastro, come scrive il Vasari nelle sue Vite:
E notabilissimo fu che in pochi mesi, studiando Rafaello la maniera di Pietro (Perugino) lo imitava tanto a punto et in tutte le cose, che i suoi ritratti non si conoscevano dagli originali del maestro, e fra le cose sue e di Pietro non si sapeva certo discernere […] come apertamente mostrano in S. Francesco di Perugia alcune figure che si veggono fra quelle di Pietro.
È sempre a Perugia che si colloca la realizzazione di un’opera che, universalmente, viene considerata come l’opera di “svolta”, in cui Raffaello non solo eguaglia il maestro, ma addirittura lo supera. L’opera in questione è il celebre Sposalizio della Vergine del 1504. Un capolavoro nel quale il pittore, prendendo spunto dall’omonimo dipinto del Perugino, realizza la nota scena biblica, ma con una maniera nuova rispetto al maestro. Da questa maniera comincia davvero a emerge qualcosa di nuovo e di unico: uno “stile”, diremmo oggi, in cui inizia a trasparire la vera grandezza dell’urbinate.
Questa emerge nella straordinaria armonia ed equilibrio che l’opera suggerisce, frutto della grande abilità di Raffaello nel costruire una composizione assolutamente simmetrica, proporzionata ed equilibrata, nella quale non vi è nulla fuori posto e che si organizza in una costruzione prospettica altrettanto armoniosa.
Sono proprio le linee prospettiche, mediante le quali si sviluppa la prospettiva, che conducono lo sguardo dello spettatore a quel tempio classico che si innalza sul fondo del dipinto e nel quale si può “leggere” tutta l’ammirazione e la devozione di Raffello per la classicità.
Oltre alla prospettiva, alla composizione simmetrica e al tempio classico che richiama le città ideali di Piero della Francesca e che funge da “perno” attorno al quale ruota tutta la composizione, due altri aspetti di indiscutibile potenza sono anche la volumetria dei corpi e degli enti rappresentati, nonché l’applicazione di colori perfettamente bilanciati e armonici.
Due aspetti non da poco, di cui Raffello fu forse il più abile di tutti all’epoca sua, che consentono al pittore di assegnare al dipinto una vividezza e plasticità inaudite.
Di questo dipinto Vasari infatti scrive:
[…] fece una tavoletta de lo Sposalizio di Nostra Donna, nel quale espressamente si conosce lo augumento (aumento) della virtù sua venire con finezza assottigliando e passando la maniera di Pietro […] nella quale opera è tirato un tempio in prospettiva con tanto amore, che è cosa mirabile a vedere le difficultà che in tale esercizio egli andava cercando.
…aggiungendo anche che in questo tempo egli aveva conquistato fama grandissima nel seguito di quella maniera.
Il periodo fiorentino
Dopo la fondamentale esperienza maturata a Perugia, Raffaello si spostò in Toscana, a Firenze, dove, come riporta il Vasari, ebbe la possibilità di entrare a contatto con i capolavori di Leonardo, Michelangelo e Masaccio. Accrebbe così ancor più le sue conoscenze pittoriche e perfezionò quella sua “maniera”, che ormai stava diventando sempre più apprezzata e rinomata.
Proprio a Firenze, infatti, nel 1506 Raffaello realizzò un’altra grandissima opera, commissionata da Lorenzo Nasi in occasione del suo sposalizio e oggi conosciuta con il titolo di Madonna del cardellino.
Anche in questo capolavoro l’urbinate mostra tutta la sua maestria pittorica, raffigurando in esso una composizione costituita dalla Madonna, Gesù bambino (sulla destra) e il cugino Giovanni Battista (sulla sinistra), i quali si configurarono in una triangolazione di figure che richiama, evidentemente, la trinità, simboleggiata anche dalle presenza del cardellino.
La triangolazione viene ancor più rafforzata dagli stessi sguardi che creano un effetto di circolarità, potenziando dunque l’effetto cercato. Gesù bambino guarda Giovannino, il quale è guardato da Maria e a sua volta guarda Gesù bambino. Questa circolarità di sguardi rende la composizione ancora più vivida e coesa e, al tempo stesso, spinge l’occhio dello spettatore a concentrarsi sulle mani di Giovannino, il quale regge, appunto, un cardellino (simbolo della trinità).
In questa composizione è poi possibile individuare un modello leonardesco, rintracciabile sicuramente nel cartone preparatorio all’opera Madonna con Bambino, Sant’Anna e San Giovannino (attualmente conservato alla National Gallery di Londra)
Accanto all’armonia della composizione e alla vividezza dei colori (elementi già presenti nello Sposalizio), un aspetto che colpisce particolarmente di questo dipinto è la spontaneità dei gesti e degli atteggiamenti delle figure rappresentate.
Una spontaneità che affiora dalla mano della Madonna che si poggia delicatamente sulla spalla di San Giovannino e sopratutto dal piede del Gesù bambino che si sovrappone graziosamente a quello della madre. Si tratta indubbiamente di due dettagli, ma dettagli che fanno un’enorme differenza nell’effetto finale del gruppo compositivo.
Di quest’opera il già menzionato Vasari scriverà:
In quelle attitudini loro (di Gesù bambino e San Giovannino) si conosce una semplicità puerile et amorevole, oltre che son tanto ben coloriti e con una pulitissima deligenzia condotti, che nel vero paiono in carne viva più che lavorati di colori e di disegno, e similmente la Nostra Donna, la quale ha un’aria veramente piena di grazia e di divinità.
La “consacrazione” a Roma
Seppur in questi anni trascorsi tra le Marche e la Toscana Raffaello acquisì una notevole considerazione affermandosi tra i maggiori artisti dell’epoca (e all’epoca ve ne erano assai), fu a Roma che avvenne la sua “consacrazione”, che lo portò poi a consolidarsi tra i “grandi” della Storia dell’Arte.
Fu infatti a Roma che Raffaello, in contatto con l’amico Bramante che lavorava per la ri-progettazione della Basilica di San Pietro, raggiunse l’apice del suo corpus, quando realizzò il grande ciclo di affreschi della stanza vaticana della Segnatura, affidatogli da Papa Giulio II, altra figura chiave del Rinascimento.
Gli affreschi della stanza della Segnatura costituiscono forse il lavoro più importante (sicuramente il più celebre) di tutta la carriera di Raffaello. Un lavoro maestoso realizzato, inoltre, negli anni in cui a Roma erano presenti contemporaneamente Michelangelo e Bramante.
Tra questi affreschi, la parete sicuramente più celebre è quella in cui Raffaello illustra la cosiddetta Scuola di Atene. Un capolavoro, un inno alla classicità eseguito attraverso l’illustrazione dei grandi capostipiti del pensiero occidentale, inscritti in un’architettura armoniosa e di stampo, ovviamente, classico.
Un’architettura impostata su una prospettiva che guida lo sguardo dello spettatore facendolo convergere verso i due “padri fondatori” del pensiero occidentale. Questi sono Platone, raffigurato a sinistra, mentre regge sottobraccio il Timeo e punta il dito verso l’alto, indicando quello che lui chiama iperuranos, il mondo delle idee. C’è poi Aristotele, a destra, con la sua Etica nicomachea mentre, al contrario di Platone, indica verso il basso, suggerendo una fedeltà alla concretezza del reale.
In questi due personaggi, Platone e Aristotele, emerge anche tutta la capacità di sintesi di Raffaello nell’illustrare con due semplici gesti, il dito che punta verso l’alto di Platone e la mano di Aristotele che indica il basso, concetti complessi e arditi. Concetti ormai alla base della filosofia occidentale.
La Scuola di Atene non è soltanto una sintesi geniale della classicità nelle sue due forme più apprezzate (filosofia e architettura), ma costituisce anche una sorta di “manuale” in cui sono racchiusi gli elementi fondamentali della pittura di Raffaello: la passione per la classicità, l’interesse per la filosofia, l’abilità di rendere armonicamente la volumetria delle forme e infine la capacità di illustrare la perfezione e la bellezza come pochi, forse nessuno, ha saputo fare.
FONTI
Giorgio Vasari, Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri
CREDITI