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La scommessa di una nuova editoria: intervista a Utopia Editore

In questo momento così delicato per l’editoria italiana, nasce a Milano Utopia, una nuova casa editrice di narrativa e saggistica letteraria; i primi titoli usciranno solo a settembre, ma il suo staff interamente composto da Millennials e le prime acquisizioni di autori del calibro di Massimo Bontempelli stanno già attirando l’attenzione di molti. Lo Sbuffo ha intervistato Gerardo Masuccio, editor, e Mattia Tortelli, social media manager di Utopia.

Il nome che avete scelto è forte, contiene già in sé un’indicazione programmatica, particolarmente in tempi come questi. Il concetto di utopia è alla base del progetto editoriale oppure è emerso in una fase successiva? In altre parole, cosa è venuto prima?

G.M. “Rem tene, verba sequentur”. Il nome sintetizza la filosofia del progetto. Ho sempre pensato al catalogo di una casa editrice come a un volume di cui ogni libro è un capitolo. E all’editore come a un artista che si esprime scegliendo e curando i libri degli altri. Utopia ha uno stile, una lingua, una poetica propria. E sceglie i libri per comporre un’opera d’arte complessa, coerente e nuova.

Se si considera che oggi le identità degli editori sono quasi impercettibili, questa è un’attitudine anacronistica. Se si considera che oggi il mercato editoriale è al collasso, questa è un’attitudine nuova.

Dal punto di vista storico, Utopia si inserisce nel solco di una lunga tradizione di stretta connessione tra circuito editoriale e sistema letterario: cosa comporta la scelta di trattare di editoria letteraria nel 2020? Avete dei modelli di riferimento nel panorama editoriale di ieri ma soprattutto di oggi, anche rispetto alle altre case editrici indipendenti?

G.M. Chi pubblica opere letterarie vive una contraddizione interiore quotidiana. La letteratura è fuori dal tempo, è oltre i luoghi, si rivela soltanto a chi è consapevole del mistero della vita. Chi si accontenta di esistere non cerca l’arte. Nasce, cresce, non si pone dubbi e non ha bisogno di risposte, muore. La lettura impone domande. Raramente risponde. Ma accompagna l’uomo con consapevolezza verso la fine.

L’editoria invece è un’attività economica: bisogna conoscere il Codice Civile per redigere un contratto, saper preparare un conto economico e stendere un bilancio per valutare la sostenibilità di un progetto, dialogare con gli agenti, gli scout, gli editori stranieri, gli aventi diritto, i promotori, i distributori, i librai. Un’immersione totale nel tempo e nello spazio. Agli antipodi dell’arte. Ecco perché dico spesso che la nostra missione è andare nel mondo senza essere del mondo. È il primo principio che la squadra di Utopia ha sottoscritto nel patto coi lettori.

Quanto ai modelli, ce ne sono pochi. Piccoli editori coraggiosi, case storiche che hanno preservato la propria identità, collane di pregio di editori generalisti. Pochi, sì, ma d’ispirazione.

Utopia si caratterizza come una realtà giovane e fortemente calata nella contemporaneità. Che importanza date alla comunicazione, in particolare sui social network, in questa fase di lancio?

M.T. Può sembrare strano che con la rivoluzione digitale siano nati lavori che non si pensava potessero esistere e che ancora si fatica a considerare lavori nel senso canonico del termine, non producendo un bene tangibile. La rivoluzione tecnologica è arrivata senza un’educazione tecnologica, ed è questo ad aver reso le cose confuse. Il nostro progetto ha basato il suo lancio sui principali social (Facebook e Instagram) cercando di adeguare il linguaggio più consono al messaggio che vogliamo lanciare: i media, se usati in modo adeguato, possono essere veicolo di cultura.

Si tratta in un certo senso di adeguare gli spazi, reali o virtuali, utilizzarli per valorizzare autori e opere di ieri e di oggi, e farlo in modo “giovane” ma non “giovanile”, “adulto” ma non “elitario”. La nostra comunicazione sarà diretta ed efficace, studiata per non rinchiudersi in quelle torri d’avorio nelle quali a volte la cultura rischia d’essere relegata.

Nei vostri principi fondanti accennate alla necessità di trovare un equilibrio tra visibile e invisibile. Come si tradurrà questo equilibrio dal punto di vista letterario, nella selezione degli autori e titoli in catalogo?

G.M. Il letterario, se è tale, si nutre di invisibilità. La ricerca degli autori, dall’altra parte del mondo, in aree linguistiche lontane, nei vecchi cataloghi dimenticati, tra i giovani che non hanno voce, richiede invece un’adesione totale al visibile. Vince il più scaltro, il più coraggioso, il più curioso. E, quando si è piccoli e giovani come Utopia, non si può competere con i capitali dei grandi editori. Bisogna arrivare prima, bisogna anticiparli. A parità di talento, il più grande ha la meglio. È per questo che al piccolo editore si chiede un intuito superiore.

Infine, concedeteci la richiesta di una piccola anticipazione. Come avete già annunciato, pubblicherete le opere di Massimo Bontempelli e Camilo José Cela, ma cos’altro bolle nella pentola di Utopia?

G.M. I titoli saranno rivelati nelle prossime settimane. Posso anticipare che da settembre sono in arrivo romanzi e saggi da tutto il mondo. Li stanno traducendo da dieci diverse lingue alcuni dei migliori intellettuali italiani. Dal portoghese, dal russo, dall’arabo, dal danese. Perché la vera letteratura parla una lingua universale, che mira al centro e coglie l’essenza della vita.

 

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