I cactus? sono una band vicentina giovane, innovativa, dalle influenze più svariate. Questa è sicuramente una definizione riduttiva, ma riassumere in poche righe il sound dei cactus? é a dir poco impossibile: l’unico modo per capirli a fondo è ascoltarli e godersi la loro musica.
Per scoprire qualcosa di più su questi ragazzi dalle mille sfaccettature, abbiamo fatto loro qualche domanda.
L’intervista
Avete un nome particolare, ma non quanto il punto interrogativo finale: come mai questa scelta?
Ce lo chiedono in molti ma davvero non sappiamo mai come rispondere, un’idea completamente a caso che abbiamo avuto anni fa. In realtà non ci piace neanche molto il nostro nome, ci prendiamo spesso in giro per questa cosa.
Nel vostro primo EP, Sorry for My Accent, si sente molto l’influenza del rock inglese. Avete particolari punti di riferimento per questo genere?
Sì, durante la registrazione di Sorry for my Accent ascoltavamo molto Indie inglese, dai primi Bloc Party, Late of the Pier, Shitdisco, Does It Offend You Yeah?. Questi sono stati dei bei punti di riferimento, soprattutto a livello ritmico e vocale, poi però in quell’EP c’è anche una vena surf e Lo-Fi, che ha caratterizzato un po’ di più il sound in generale. Il risultato è più di stampo americano alla Wavves, Surf Curse, Goth Babe, Castlebeat.
Su Spotify, si può vedere che siete perlopiù ascoltati all’estero: seguaci da Sydney, Dallas, Los Angeles. Quando avete iniziato a fare musica, vi aspettavate di avere un successo internazionale simile?
Agli inizi era difficile poterlo immaginare, ma riuscire ad arrivare oltre i propri confini nazionali è sempre quello che si spera sin da subito. La strada è ancora molto lunga e speriamo di riuscire ad affermarci maggiormente sia all’estero, che in Italia. In fin dei conti siamo ancora all’inizio di un piccolo sogno che ci auguriamo diventi più grande.
L’ultimo singolo, Shitdisco, apre la strada a uno stile diverso dal vostro repertorio. I prossimi pezzi saranno ugualmente rivoluzionari?
Le cose che ascoltiamo cambiano in continuazione, siamo passati dal surf rock all’indie dance, al nu rave, dall’italo disco e all’hyperpop attuale. Ci piace prendere ispirazione da un po’ tutte queste cose, non vogliamo avere un genere definito, ogni uscita speriamo sia diversa da quella precedente. I prossimi singoli saranno molto diversi da Shitdisco e da quello che abbiamo fatto in passato.
I vostri lavori vanno dal rock al Lo-Fi, passando per il dance-punk di metà anni 2000. Categorie a parte, una parola per definire il vostro sound?
Haha domanda difficile! Sinceramente no, non sappiamo neanche noi dove collocarci: siamo molto dinamici, ogni pezzo per noi è un qualcosa di pensato a sé, non abbiamo preconcetti quando stiamo facendo una canzone, quindi ci ritroviamo spesso con canzoni che hanno sound molto differenti.
Nel parlare di Shitdisco avete affermato l’importanza del raggiungere le proprie fragilità più buie. Come fare, però, per renderle un punto di forza?
Crediamo sia importante raggiungere le proprie fragilità più buie, per conoscere meglio se stessi, non necessariamente renderle un punto di forza.
Penso che tra quelli pubblicati sia Credits perché suonarlo live ci gasa un sacco, è la bandiera di No People Party.
Nel 2017 avete collaborato con il rapper Bohdi in Amazing, Pt.1. Com’è stato lavorare con lui? C’è qualcuno con cui vorreste lavorare in maniera particolare?
È stata una bella esperienza con Bohdi. È successo tutto molto rapidamente, lui ci ha chiesto di poter cantare su una nostra strumentale che avevamo caricato su Soundcloud, ed è uscito un super pezzo. Poi suo fratello ha girato un video assurdo, è stato figo. Comunque ultimamente ascoltiamo molta PC music e hyperpop, ci piacerebbe lavorare a qualche produzione con A.G. Cook oppure con Dylan Brady (100 Gecs).
Avevate annunciato la partecipazione all’SXSW in Texas, che purtroppo non si è potuto tenere. Una volta finita questa situazione, a quali festival vorreste partecipare?
Purtroppo la mancata partecipazione all’SXSW per noi è stato un duro colpo, ma non abbiamo potuto farci nulla e ci auguriamo di avere altre occasioni in futuro. I festival a cui ci piacerebbe partecipare sono veramente moltissimi, dai più famosi a quelli meno.
Nei vostri pezzi si possono sentire i Crystal Castles, i Two Door Cinema Club, forse anche un po’ di Jack Stauber. C’è però qualcuno che vi ha ispirato nella scena italiana? Venite pur sempre dal Veneto.
Purtroppo non conosciamo praticamente niente della scena italiana più popolare, ascoltiamo pochissima musica cantata in italiano. Però di sicuro stiamo prendendo ispirazione da grandissimi artisti italiani come Lorenzo Senni e Caterina Barbieri.
I cactus? hanno iniziato il loro percorso da relativamente poco (Sorry For My Accent è uscito nel 2016), eppure stanno assumendo un ruolo sempre più importante nel panorama musicale. Che sia all’estero o in Italia, noi de «Lo Sbuffo» auguriamo ai cactus? il successo che meritano: forse però non ce n’è bisogno, perché siamo sicuri che arriverà.
Materiale gentilmente fornito da Costello’s
Copertina e immagini gentilmente fornite da Costello’s