La storia dei 170 ragazzi italiani bloccati a Disneyworld

Questo è un periodo molto difficile per l’Italia e per il mondo: l’attuale pandemia da Coronavirus ha creato situazioni che fino a poco tempo fa sarebbero sembrate surreali e incredibili, proprio come quella dei centosettanta ragazzi italiani bloccati all’estero nel famoso parco divertimenti Disney di Orlando (Florida), tra ansie e preoccupazioni.

Ma partiamo dall’inizio.

Perché si trovavano a Disneyworld?

I centosettanta ragazzi bloccati a Disneyworld, tutti tra i diciotto e i ventotto anni, si trovavano nel parco divertimenti per lavoro, grazie all’adesione al progetto di scambio culturale Cultural Representative Program, della Disney.

Il Cultural Representive Program infatti ha permesso ai ragazzi di lavorare a Disneyworld con un contratto a tempo determinato di un anno, in collaborazione con Patina Group, un’azienda di ristorazione francese.

Lavoravano nella zona italiana del parco di Ectop, una delle aree che compongono tutto il parco divertimenti di Orlando, caratterizzata dalla presenza di molti servizi di ristorazione tipici di vari paesi esteri, fino a quando non sono arrivate le prime notizie della diffusione sempre più veloce del Coronavirus.

Da quel momento sono iniziati i problemi.

L’inizio dell’epidemia e la chiusura del parco:

Quando arrivano le prime notizie della diffusione del virus in aree sempre più vaste del mondo, la situazione a Disneyworld sembra tranquilla, sarebbe stato sufficiente che i dirigenti del parco avessero qualche accortezza in più. I lavoratori però erano agitati e in uno stato di allarme, come ha spiegato anche uno dei ragazzi:

Ci siamo cominciati ad allarmare vedendo le notizie in arrivo dall’Italia, ma nel frattempo come uniche misure di sicurezza dovevamo lavarci le mani e cercare come possibile di mantenere le distanze di sicurezza. […] I nostri manager hanno provato a chiedere disinfettante per le mani, ma gli è stato risposto di no: dovevamo però lavarle ogni volta che passavamo dalla sala alla cucina e viceversa. Avevamo le mani spaccate.

La situazione continua ad aggravarsi fino a quando Disneyworld è costretto a chiudere al pubblico, il 16 marzo. Si tratta di una chiusura eccezionale, che mai avrebbe potuto essere prevedibile dai clienti, dai turisti e dai lavoratori del parco e che certamente entrerà nella storia. Infatti prima di quest’anno, le uniche due chiusure sono state il 23 novembre 1963, dopo l’omicidio del presidente degli Stati Uniti dell’epoca John Kennedy, e alcuni giorni dopo alla tragedia che ha colpito l’America l’11 settembre del 2001.

Così appena dopo l’annuncio, alcuni lavoratori decidono di salire sui pochi aerei disponibili per tornare a casa mentre molti altri, tra cui i centosettanta ragazzi italiani, restano negli alloggi in affitto concessi da Disneyworld sperando in una possibile riapertura del parco e quindi in un ritorno al lavoro.

Inoltre, per tutto il mese di marzo i dirigenti assicurano ai ragazzi rimasti un minimo di ore lavorative per permettergli di poter pagare l’affitto e di fare la spesa. I giovani lavoratori in questo modo sono relativamente tranquilli perché possono continuare a guadagnare almeno il minimo necessario per vivere e restano comunque sotto la tutela degli organizzatori dello scambio culturale, come ha affermato un giovane:

L’idea di rientrare prima non ci sfiorava perché qui abbiamo un luogo dove trascorrere la quarantena (gli alloggi Disney) e inoltre eravamo rassicurati di continuo dall’azienda per cui lavoriamo (la Patina Group).

Poi è iniziato aprile ed è arrivata quella mail che non avrebbero mai voluto ricevere.

Il licenziamento, le preoccupazioni e gli aiuti:

Il 6 aprile 2020, i nostri connazionali hanno ricevuto una mail dai dirigenti di Disneyworld in cui sono stati avvisati della sospensione dello scambio culturale e dell’annullamento delle ore lavorative fino a quel momento concesse. Inoltre, la mail li obbligava a lasciare il più presto possibile gli alloggi, entro il 17 aprile:

[…] Abbiamo preso la difficile decisione di sospendere la Disney Internships & Programs, compreso il Cultural Representative Program, a partire dal 18 aprile: non è stata presa con leggerezza e capiamo il vostro disappunto […].

Da un giorno all’altro sono stati quindi catapultati in una realtà che fino a quel momento non avrebbero mai immaginato potesse succedere e l’ansia e la preoccupazione hanno iniziato a crescere a dismisura.

Non c’era quasi nessun volo disponibile, e quei pochi avevano molti scali; ciò significava quindi un alto rischio di contrarre il virus durante il viaggio. Come se questo non bastasse, ai ragazzi rimaneva pochissimo tempo per organizzarsi prima di rimanere senza una casa.

Patina Group ha nel frattempo cambiato atteggiamento: dall’assicurare la loro permanenza a Disneyworld è passata a incoraggiarli alla partenza. I giovani hanno comunque ricevuto molti aiuti e nonostante la paura e le preoccupazioni, non si sono mai sentiti abbandonati, come hanno affermato loro stessi:

[…] Abbiamo ricevuto una mail della Disney che ci diceva di lasciare l’appartamento entro il 17 aprile, ma non ci hanno lasciato in mezzo a una strada: ci ha informato due settimane prima. In questa situazione delicata anche con un mese d’anticipo sarebbe stato difficile trovare un aereo diretto per tornare.

[…] Io sono andata di persona a parlare con i responsabili degli alloggi e mi hanno confermato di essere a conoscenza della situazione degli italiani: sanno che stiamo aspettando una risposta e mi hanno detto che non ci fanno né fretta né pressione per lasciare le abitazioni.

[…] Il nostro responsabile italiano, Benito Sevarin, ci è stato vicino, portandoci cibo e acqua e venendoci a trovare due volte a settimana per farci capire che avremmo avuto qualcuno a cui rivolgere domande, richieste di consiglio o di aiuto.

Anche l’azienda francese è intervenuta per aiutare i ragazzi, soprattutto sapendo della loro condizione economica e dell’alto prezzo (intorno ai 2000 euro) dei pochi biglietti aerei disponibili:

[…] Anche Patina ha fatto il possibile: ci sono venuti incontro per la futura spesa del biglietto aereo, dandoci tre stipendi in uno e togliendoci due settimane di assicurazione.

L’intervento dei media, della Farnesina e il ritorno a casa:

La vicenda è stata seguita dalle testate giornalistiche più importanti e ha avuto molta visibilità in alcuni programmi televisivi e nei principali social networks: gli appelli per il ritorno a casa dei nostri connazionali sono stati innumerevoli.

È forse anche per l’enorme visibilità data dai media e dai giornali che il Consolato Generale d’Italia a Miami, insieme all’Unità di Crisi della Farnesina e l’Ambasciata italiana a Washington, hanno iniziato a seguire più attentamente la vicenda e a rimanere costantemente in contatto con i ragazzi per informarli dei possibili voli disponibili.

Grazie anche poi all’intervento del Ministero degli Affari Esteri è stato organizzato un volo per rimpatriare i 170 ragazzi italiani il 19 aprile, con la compagnia aerea Neos. Ora i nostri connazionali sono a casa, dopo tanta preoccupazione possono finalmente passare questo difficile periodo nel migliore dei modi.

La loro vicenda si è conclusa positivamente ma ci sono ancora purtroppo tante situazioni critiche di italiani all’estero che cercano in qualche modo di tornare a casa, il lavoro dei principali organi governativi deve quindi continuare!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.