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Il Covid-19 non ferma il femminicidio: si trasforma in dramma da quarantena

L’Argentina, come ormai la maggioranza dei paesi nel mondo, è alle prese con l’emergenza dovuta al coronavirus. Tuttavia il Covid-19 non è l’unico pericolo da cui guardarsi, soprattutto per quanto riguarda le donne. Come in Italia, anche nel paese sudamericano vige la quarantena allo scopo di allentare i contagi e rallentare così la diffusione del virus. Qui, nel solo mese di marzo si contano ventisette casi di femminicidio tra le mura domestiche, sette dei quali soltanto nella prima settimana. Un numero impressionante, se si conta che eguaglia il dato relativo alle morti causate dal virus.

In Argentina è stata istituita già tempo una linea telefonica dedicata alla denuncia di violenze, maltrattamenti e altre forme di abuso, ma pare evidente che in questo specifico contesto non sia più sufficiente. Soprattutto perché per questa misura si fa affidamento sulla premessa, non secondaria, della solitudine delle donne durante il momento della chiamata. Se si è costretti al confinamento entro le mura domestiche, è ovvio che questa possibilità venga meno. Si è dunque pensato, a soluzioni alternative.

Come denunciare?

Un’opzione è costituita dall’attivazione di un canale speciale tramite WhatsApp, tramite il quale è sufficiente scrivere un messaggio e non è più necessaria una conversazione telefonica. In poche ore il canale è stato preso d’assalto, a testimonianza della gravità della situazione. Anche questo metodo tuttavia presuppone un certo grado di solitudine della donna, che non sempre è garantito.

Un’altra strategia invece si concretizza al di fuori delle mura domestiche, in particolare all’interno delle farmacie. È un programma attivo dal 1 aprile chiamato “barbijo rojo”, cioè mascherina rossa. La donna entra nella farmacia e chiede di acquistarla, questa parola in codice è infatti un modo per denunciare la propria situazione. Una sorta di richiesta di soccorso alternativa, sicuramente utile se accompagnata da tempestivi interventi. È infatti inutile cercare metodi innovativi di denuncia se poi non vi è un corrispondente provvedimento di polizia, giudici e autorità competenti. Gran parte delle donne che sono state uccise avevano già inoltrato segnalazioni in passato, ma erano state ignorate o evidentemente non prese sul serio. Si può parlare di un vero e proprio tradimento statale, colpevole di aver lasciato sole donne che nulla possono fare se non denunciare, e talvolta non basta.

I movimenti femministi hanno alzato la voce in particolare lo scorso 28 marzo, dopo il ritrovamento di due cadaveri nella periferia di Buenos Aires, ennesima prova della violenza del femminicidio. Cristina e la figlia Ada (7 anni) erano state sepolte nei pressi della loro abitazione, i corpi uno sopra l’altro. La polizia ha arrestato il convivente, che al temine dell’interrogatorio  ha confessato il duplice omicidio: vivevano nella stessa casa da soli due mesi.

Nei primi giorni di aprile il governo ha provato ad arginare il problema. Le persone che si trovano in situazioni di pericolo sono state autorizzate a lasciare la propria abitazione per chiedere aiuto e protezione, in quanto circostanze considerate “di forza maggiore” e dunque non punibili dalla legge per violazione della quarantena. Si è trattato di un piccolo passo in avanti, un modo per correre ai ripari a fronte di un’emergenza che rischia di assumere i connotati di una strage silenziosa.

L’Italia non è da meno: nasce il “dramma da convivenza forzata”

È innegabile come il coronavirus stia monopolizzando l’attenzione della politica e dei principali media. Giornali e telegiornali riescono a trasformare il femminicidio in una sorta di conseguenza dell’attuale situazione di crisi che il paese intero sta attraversando. Ecco infatti il femminicidio diventare l’esito sfortunato di una convivenza obbligata, “un dramma da convivenza forzata”. Notizia di pochi giorni fa è l’omicidio di Lorenza Quaranta, ventisettenne uccisa dal compagno, in casa. Dopo un lungo interrogatorio Antonio De Pace ha confessato di essere il colpevole, adducendo come motivazione l’ipotesi che la vittima gli avrebbe trasmesso il virus. Desta stupore il bisogno di precisare che il tampone abbia poi dato esito negativo, come se questo fosse un movente valido per un omicidio.

Non si può parlare di ira improvvisa causata dalla convivenza, e neppure di “drammi causati da un eccesso di gelosia”. Si tratta di violenza, pura e semplice, che va chiamata come tale, evitando allusioni a storie d’amore tra le persone coinvolte perché è chiaro che, in contesti del genere, si possa parlare di tutto tranne che di amore.

Numerosi movimenti femministi, uniti ai centri antiviolenza, ripetono da giorni appelli a continuare a denunciare, ricordando quali sono le modalità e i numeri di riferimento. Si può contattare il 1522, attivo sia via chat che tramite conversazione telefonica normale, ma anche il 112 e 113, rispettivamente Carabinieri e Polizia. Secondo i dati offerti dal Telefono Rosa si registra un dimezzamento delle chiamate, ma ciò ciò, sia chiaro, non equivale in alcun modo a un dimezzamento delle violenze. A essersi ridotte sono le possibilità di chiedere aiuto.

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