I costumi di Anna Karenina. Quando l’inesattezza storica non è un errore

Non ho pace da dare. Non può esserci pace tra noi, solo miserie o la felicità più grande.

Conte Vronsky

Quando si tratta di costumi di scena l’apice della bellezza e della creatività si raggiunge nei film storici. Non a caso rientra in questa categoria il vincitore del premio Oscar 2020 ai migliori costumi, Piccole Donne di Greta Gerwig. 

La vincitrice è Jacqueline Durran, che nello stesso anno ha collaborato anche all’acclamato 1917 di Sam Mendes, vincitore di tre premi Oscar. La carriera della costumista britannica risale ai primi anni Duemila e vanta innumerevoli lavori, Macbeth (Justin Kurzel, 2015) e La bella e la bestia (William Condon, 2017) per citarne alcuni.

Ma il sodalizio più proficuo è sicuramente quello con Joe Wright, regista de L’ora più buia (2017), che si è affidato a lei per i costumi di sei dei sette film che ha fin ora prodotto. Se aggiungiamo all’addizione anche l’attrice Keira Knightley otteniamo dei capolavori come Orgoglio e pregiudizio (2005) ed Espiazione (2007). Il vestito verde indossato da Keira in quest’ultimo è diventato uno dei vestiti più iconici della storia del cinema. Entrambi i film sono valsi alla Durran la candidatura all’Oscar, ma il film che porta a casa la statuetta è Anna Karenina (2012). 

https://www.instagram.com/p/BdigxnPFpsz/

Di norma uno dei criteri più importanti per i costumi di un film di periodo è la loro accuratezza storica. I critici e gli appassionati prestano molta attenzione a questo aspetto e l’inesattezza storica viene evitata quasi come lo sguardo in macchina. 

Ma come il tabù dello sguardo in macchina anche quello dell’inesattezza storica può essere infranto, se motivato da scelte stilistiche: è quello che hanno fatto Jacqueline Durran e Joe Wright in Anna Karenina. 

Nel film i modelli ottocenteschi sono contaminati da silhouette e tagli degli anni Cinquanta. La Durran ha dichiarato di essersi ispirata al “New Look” di Dior e agli abiti di Balenciaga della stessa decade. Un altro elemento di forte contrasto sono i gioielli di Chanel, di collezioni moderne, che la protagonista indossa durante tutto il film. 

La deviazione dalla rigorosa precisione storica è giustificata da diversi aspetti: primo di tutti è l’impronta stilistica della regia. Joe Wright ha infatti immerso il dramma tolstoiano in un’atmosfera di teatralità. L’intera vicenda (salvo le scene nella campagna russa) è ambientata in un teatro le cui scenografie cambiano a seconda dell’ambiente da riprodurre. L’azione stessa è ridotta a una coreografia e la verosimiglianza è volutamente evitata. 

https://www.instagram.com/p/BhZgzbUBqr3/

In secondo luogo i costumi sono carichi di una forte connotazione simbolica. La società russa del tempo e la sua ipocrisia si rispecchiano negli abiti volutamente anacronistici. 

I personaggi più reazionari, come Karenin (Jude Law) e la Contessa Lydia (Emily Watson), indossano abiti storicamente accurati, mostrando la loro rigida adesione alla tradizione. I personaggi più eccentrici indossano abiti sempre più contaminati dallo stile degli anni Cinquanta, soprattutto Anna Karenina (Keira Knightley) e la Principessa “Betsy” (Ruth Wilson). Quest’ultima è il personaggio più eccentrico e i suoi costumi sono ispirati alle geishe, in linea con il gusto per l’Oriente imperante all’epoca. 

L’uso dei colori è un altro mezzo potente per rivelare l’evoluzione dei personaggi. I tre vestiti da ballo di Anna sono un esempio perfetto. In tre occasioni mondane Anna si presenta in vestiti pressoché identici, ma di diverso colore.

La prima occasione è il ballo in onore di Kitty (Alicia Vikander), in cui si accende l’interesse tra Anna e il conte Vronskij (Aaron Taylor-Johnson). Qui Anna porta un abito nero, in netto contrasto con le altre dame che indossano vestiti identici tra loro, in venticinque diverse sfumature di colori pastello.  La sensualità dell’abito di Anna si oppone anche all’abito di Kitty, la cui gonna è stata accorciata di qualche centimetro per dare l’idea dell’infantilità della ragazza. Al contrario si completa perfettamente con l’uniforme bianca di Vronskij, creando un eloquente effetto durante il ballo tra i due.

https://www.instagram.com/p/B0bXAJGox6B/

La seconda è sempre un ballo, che sancisce l’abbandono di Anna alla passione per Vronskij. Questa resa all’amore è marcata dall’abito rosso cupo. Il colore è anche presagio della fine tragica che avrà questa scelta della protagonista di perseguire il suo desiderio per il giovane ufficiale.

L’ultima è la serata all’opera, ultima sfida di Anna alla società ben pensante. In questa ultima apparizione pubblica Anna si presenta in un abito bianco, dichiarando la propria innocenza davanti a un mondo che l’ha già condannata. Il bianco è anche il colore dell’agnello, vittima sacrificale per antonomasia. Anna si dà in pasto alle malignità della gente, ma non riesce a reggerlo. Tornata a casa si spoglia dell’abito bianco per rivelare un corsetto e una crinolina insolitamente sgargianti, rossi e senape.

https://www.instagram.com/p/B791DUIHT1H/

Questo film è un magistrale esempio di come l’inesattezza storica non sia sempre sinonimo di mancanza di zelo da parte del reparto costumi. Se funzionale a una scelta narrativa e stilistica, la contaminazione tra diverse epoche può risultare la scelta migliore. Certo, nella maggior parte dei casi, in cui non c’è un’atmosfera onirica a permeare la pellicola, l’esattezza storica non può essere sacrificata per un mero fattore estetico; ma non è neanche giusto perseguire il rigore storico a scapito dell’espressività del film.  Un costumista capace sa come veicolare il messaggio del regista, bilanciando ricerca e creatività, estetica e sostanza.


 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.