Tradimento è una parola dura, pesante, che lascia il segno. Viene usata spesso, forse senza ben rendersi conto del profondo carico negativo cui è legata. Tradire è da sempre considerata una delle azioni peggiori che gli individui possono commettere, una colpa difficile da cancellare e superare. Tradimento ricorda una promessa infranta, un ideale cui si è voltato le spalle, un impegno non mantenuto. Questo concetto necessita, per sua esistenza, di due presupposti: una verità da rinnegare, magari nell’ombra, e un possibile tornaconto, una ragione che giustifichi questa scelta. E quale campo è migliore della politica per il germogliare del tradimento?
In campo politico, infatti, una parola ormai abusata è proprio tradimento. Viene lanciata come un proiettile da una parte politica all’altra, di volta in volta a seconda della convenienza della situazione: un’accusa violenta che vuole scardinare la fiducia nel traditore, a torto o ragione. Le promesse elettorali sono le verità ripudiate dal politico traditore, mentre i cittadini restano abbandonati e non rappresentati adeguatamente. Forse questo termine viene usato non sempre a ragione e, soprattutto, non sempre in buonafede.
Un tipico attacco politico fondato sull’accusa di tradimento riguarda l’elezione del Presidente del Consiglio dei Ministri. Anche se dal 1 gennaio del 1948, data in cui entrò in vigore la Costituzione della Repubblica Italiana, sono passati ormai settantadue anni – quindi tutto il tempo per leggerla e capirne il funzionamento, ancora, dopo ogni spoglio elettorale, soprattutto in quei casi in cui non sia evidente una maggioranza in grado di esprimere un Governo – molti cittadini e diversi esponenti politici considerano una truffa e un tradimento della democrazia un accordo tra diversi partiti per votare la fiducia a un Governo: ebbene, che si tratti di un accordo favorito dal Presidente della Repubblica, una coalizione già annunciata o un contratto di governo stipulato solo dopo le elezioni, non siamo davanti a nessun imbroglio, ma al funzionamento della democrazia parlamentare. Lo stesso quando un Governo viene sfiduciato in Parlamento: se all’interno delle forze politiche nascono nuove alleanze in grado di votare un Governo ed esso riceve l’incarico dal Presidente della Repubblica, non c’è stato alcun tradimento della democrazia. Opinabile o apprezzabile esso sia, non si tratta di nessuna truffa e, a chiunque accusi un Presidente del Consiglio di non avere i voti dei cittadini, andrebbe ricordato che questa elezione in Italia non è mai stata diretta, mentre lo è quella del Parlamento. Gli articoli 92, 93 e 94 della Costituzione lo dicono chiaramente, senza alcuna lacuna.
Negli anni abbiamo potuto assistere a svariati momenti di presunti “tradimenti” operati dalle più svariate componenti della Repubblica, per celare chissà quali nefasti obiettivi dittatoriali. La verità è che la disinformazione riguardo al funzionamento delle nostre istituzioni – scusabile al limite ai cittadini ma certamente intollerabile se da parte di politici o giornalisti – e la malafede per proprio tornaconto politico, sono i principali colpevoli cui imputare questo sentimento diffuso di tradimento. Certo, per quanto un’amministrazione possa essere trasparente, ancora non viviamo in un mondo in cui ogni singola azione di un’autorità pubblica è sicuramente priva dubbio, ma pensare che esista in ogni situazione una volontà occulta che manovri le scelte politiche è assurdo e inesatto. Non si tratta di complotto, semmai di ignoranza generalizzata.
Allora sfatiamo un altro mito cui, nostro malgrado, siamo stati costretti a prestare orecchio in questi anni. Non esiste in Italia l’impeachment presidenziale, come negli Stati Uniti, ma solo la procedura della messa in stato d’accusa del Presidente per i soli reati di alto tradimento e per attentato alla Costituzione. Sono due procedure molto diverse e che gli stessi comparatisti faticano ad accostare, seppur abbiano alcuni caratteri in comune. In Italia la giurisprudenza e la stessa dottrina sono esigue in questo ambito, in quanto anche gli stessi reati elencati sono scarsamente definiti: sicuramente si tratta di situazioni di enorme gravità e comprovato pericolo per l’integrità della carica presidenziale, in cui il Presidente esula palesemente dalle proprie prerogative.
Non è giusto, o tanto meno necessario, pretendere che ogni singolo elettore sia un esperto di dottrina giuridica, un politologo o un sagace giornalista per far sì che la democrazia viva senza tradimenti. Infatti, se pure una maggiore conoscenza civica basilare non è da disdegnare, è compito dei politici, dei giornalisti e di chiunque si occupa di politica e di diritto non alterare la verità, inventando falsità o favorendo incomprensioni fallaci utili al proprio tornaconto. Le opinioni sono e devono restare libere, ma raccontare fatti e disposizioni normative tralasciando o aggiungendo parti per supportare la propria idea è mancanza di rispetto verso il proprio ruolo e verso gli elettori.
Ci saranno sempre scontri e opinioni diverse, così come accordi e compromessi, dato che questa è l’essenza di una politica sana e costruttiva, in cui le grida al “tradimento” potranno essere utili a salvaguardare la libertà della Repubblica e non a ottenere qualche punto percentuale in più alle elezioni seguenti. Tradire è un’accusa seria, grave e pericolosa, da scomodare solamente in modo responsabile, come ultima ratio, e non come jolly a danno dei cittadini e delle istituzioni.
Un commento su “Tradimento in politica, tra bluff e verità”
Non si dimentichi il giuramento!