Nel giorno 30 marzo del 2020, in una dichiarazione congiunta fatta dal presidente del Comitato della Convenzione 108, Alessandra Pierucci, e il Commissario per la protezione dei dati del Consiglio d’Europa, Jean-Philippe Walter, il Consiglio d’Europa dichiara le sue posizioni riguardanti il trattamento dei dati in relazione alle misure da adottare per la limitazione della diffusione del virus scatenante Covid-19. Posizioni di natura garantista. Si riconosce infatti la necessità di consentire restrizioni in linea con obiettivi di interesse pubblico, ma solo nel caso in cui i requisiti siano chiari e soddisfatti, tra i quali lo stato di emergenza.
Quello che ora bisogna chiedersi è se l’Italia stia abbracciando la posizione europea, e quali siano le scelte adottate dal nostro Paese. Il primo testo legislativo in materia di dati personali nell’ambito della emergenza sanitaria è il Decreto-Legge del 9 marzo 2020, n. 14, “Disposizioni urgenti per il potenziamento del Servizio sanitario nazionale in relazione all’emergenza COVID-19”, entrato in vigore dal 10 marzo 2020. All’articolo sono rintracciabili le disposizioni sul trattamento dei dati personali nel contesto emergenziale.
Il comma 1 prevede che, fino al termine dello stato di emergenza, per motivi di interesse pubblico e per garantire la protezione dall’emergenza sanitaria,
anche allo scopo di assicurare la più efficace gestione dei flussi e dell’interscambio di dati personali, possono effettuare trattamenti dei dati personali, che risultino necessari all’espletamento delle funzioni attribuitegli nell’ambito dell’emergenza determinata dal diffondersi del Covid-19.
Inoltre, il comma 2 prevede che la comunicazione dei dati personali a soggetti pubblici e privati, (che siano diversi da quelli di cui al comma 1, nonché la diffusione dei dati personali diversi da quelli di cui agli articoli 9 e 10 del GDPR), venga effettuata, solo nei casi in cui risulti indispensabile, e quindi necessario per lo svolgimento di attività connesse alla gestione dell’emergenza sanitaria in atto.
A livello operativo l’Italia consente agli enti impegnati a far fronte della emergenza, di operare trasferimenti di dati, purché l’unico motivo sia in linea con l’emergenza stessa. L’interessato, che non è necessariamente un contagiato o un malato, può essere informato del trattamento anche oralmente. Una norma basilare, ma necessaria. Tuttavia, non sarà la via definitiva, e a ricordarlo è il presidente dell’Autorità Garante della Protezione dei Dati Personali, che nel corso di un’intervista rilasciata all’ANSA afferma:
Non esistono preclusioni assolute nei confronti di determinate misure in quanto tali. Vanno studiate però molto attentamente le modalità più opportune e proporzionate alle esigenze di prevenzione, senza cedere alla tentazione della scorciatoia tecnologia solo perché apparentemente più comoda, ma valutando attentamente benefici attesi e “costi”, anche in termini di sacrifici imposti alle nostre libertà.
Antonello Soro, osservando la situazione cinese e coreana, esclude la possibilità di una sorveglianza di massa. Nei due citati ordinamenti (secondo il Presidente) vi è stata un’eccessiva deroga al diritto alla privacy. Tuttavia, non elimina la possibilità che si possa fare uso di determinate misure, sempre nel rispetto di importanti condizioni.
Il 18 marzo del 2020, il Governo italiano emana il Decreto-Legge del 17/03/2020, n. 18 potenziando il Servizio sanitario nazionale e il sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19. Novità interessante è però l’istituzione di un Gruppo di supporto digitale alla Presidenza del Consiglio dei Ministri per l’attuazione delle misure di contrasto all’emergenza Covid-19. Il Gruppo si distingue per le elevate competenze nello studio, sviluppo e gestione di processi di trasformazione tecnologica, con particolare riferimento alla introduzione di soluzioni di innovazione tecnologica, facendo presagire un utilizzo della tecnologia per far fronte all’emergenza. Ma i cui risultati saranno valutabili solo in futuro.
In America invece l’approccio è meno garantista rispetto a quello Europeo. E il 13 marzo del 2020 Google dichiara lo sviluppo di un sito web di screening, Baseline, attraverso il quale diventerebbe possibile compilare un questionario e comprendere come ottenere un test per il coronavirus. Il sito conterrà una serie di opzioni per il riconoscimento dei fattori di rischio e i sintomi del coronavirus.
Un’ambiziosa iniziativa a lungo termine è quella di Alphabet per la raccolta anonima di informazioni genetiche e molecolari da centinaia di persone al fine di realizzare un baseline, e “costruire la prossima generazione di strumenti e servizi sanitari”.
In Sud Corea è invece utilizzata una app per smartphone, sviluppata dal Ministero dell’Interno e della Sicurezza. Chi riceve l’ordine di non uscire di casa, può rimanere in contatto con gli assistenti sociali e riferire i propri progressi, realizzando un “auto-quarantena di sicurezza”.
Mentre in Israele si ricorre a sistemi di geolocalizzazione. Il primo ministro, dichiarando lo stato di emergenza, ha affermato la scelta di voler utilizzare i sistemi di sorveglianza tecnologica utilizzati «nella guerra al terrorismo»: un programma per ricostruire gli spostamenti dei soggetti che risultino positivi al COVID-19 mediante la geo-localizzazione.
Gli stati stanno perciò iniziando a sperimentare l’utilizzo di tecnologie di tracciamento contro il Coronavirus. Quello che bisogna ricordare è che la tenuta democratica richiede alcune accortezze, per evitare di ritrovarci domani in una società della sorveglianza di massa. Significa rispettare soprattutto i principi di necessità, minimizzazione e temporaneità; ma anche di trasparenza sulle misure adottate, che devono essere sempre sottoposte a scrutinio pubblico e indipendente.
In questo discorso può essere interessante la visione di Peter P. Swire, Professore di Legge ed Etica presso la Schellere College of Business. Egli si domanda come possa il pubblico sapere quando sia necessario adottare nuovi programmi di sorveglianza. La situazione attuale la conosciamo tutti, e non ci riferiamo alla pandemia, ma a quante applicazioni registrano la nostra posizione, quanti dati condividiamo con esse. Alcuni paesi, come Cina ed Israele hanno adottato programmi intrusivi. Il governo controlla l’effettività degli ordini di quarantena tramite dati di posizione.
I funzionari del governo hanno grandi incentivi per mostrare al pubblico che stanno facendo qualcosa, qualunque cosa, per affrontare la crisi. Un pericolo però è che si cada nel cosiddetto “Security theater” (Schneier). E secondo la sua visione, le agenzie governative cercheranno un accesso ai database delle località come un modo per combattere il virus, ma l’utilità è suscettibile di gravi dubbi. E in assenza di una dimostrazione empirica di praticabilità, le richieste di localizzazione saranno solo che teatro della sicurezza piuttosto che sicurezza effettiva.
L’uso delle tecnologie di tracciamento nella situazione da Covid-19 è possibile, ma bisogna domandarsi sulla tenuta democratica, affinché si eviti la possibilità di ritrovarsi in una società di sorveglianza di massa. Significa rispettare soprattutto i principi di necessità e di trasparenza delle misure adottate.