Sarà uno strano anniversario della Liberazione. Nessun corteo organizzato dall’Anpi (Associazione Nazionale Partigiani Italiani), nessuna commemorazione pubblica. Sembrerebbe soltanto un’altra delle tante rinunce che siamo costretti a fare in questo periodo, ma questa in particolare può essere più pericolosa: le manifestazioni sono il simbolo di un popolo che ricorda, e che dichiara a gran voce di rispettare ancora i valori e gli ideali che hanno partorito la liberazione d’Italia. In questo periodo torbido, in cui troppo spesso si sente blaterare che di fascismo e antifascismo non è più il caso di parlare, riusciremo ugualmente a valorizzare il 25 aprile rimanendo costretti in casa?
Le contestazioni ci sono tutti gli anni: sono parole vili, quelle di chi si ritiene esente dalla celebrazione, di solito argomentando che la giornata ha perso di senso perché i tempi sono troppo lontani, troppo diversi. Quest’anno qualcuno obietterà che ci sono esigenze più importanti, la difesa della salute. Ma a queste chiacchiere bisognerebbe rispondere che per fortuna l’uomo è capace di più pensieri allo stesso tempo, e mentre si preoccupa della sopravvivenza può e deve anche preservare il ricordo della propria storia e delle radici culturali da cui proviene. E per noi, Italia libera e democratica del terzo millennio, le radici sono in quel 25 aprile di settantacinque anni fa.
La data è simbolica: fu scelta nel 1949 per commemorare la fine dell’occupazione tedesca in Italia, del regime fascista e della Seconda guerra mondiale. Il 25 infatti furono liberate dai partigiani Milano e Torino: Bologna era già stata liberata il 21 con l’aiuto degli americani, Genova si libererà da sola il 26. L’atto di resa dell’esercito tedesco in Italia arriverà il 29 aprile: Mussolini era stato ucciso il giorno prima.
Alessandro Baricco l’anno scorso ha parlato così della celebrazione: “È l’ostinata celebrazione di un pensiero bellissimo: da qualsiasi oscurità usciremo liberi“. Un pensiero che anche quest’anno può tornare prezioso: l’oscurità che preme su di noi ora non è soltanto il virus, ma anche l’ostinazione delle varie nazioni nel perseguire i meri interessi economici, risultando cieche di fronte ai segnali di allarme che si accendono dappertutto. Le strutture democratiche sono in crisi oggi come non lo erano da decenni: le forze di destra estrema sono attive in pressoché ogni Paese, l’Europa sembra non trovare un terreno solido sotto i piedi ma solo sabbie mobili, in Ungheria c’è stata una stretta dittatoriale, le nuove potenze emergenti sono Cina e Russia, nessuna delle quali si può dire essere governata da un sistema democratico. Una deriva autoritaria è dietro l’angolo, per questo occorre fermarsi ancora una volta a riflettere su cosa il 25 aprile ha conquistato per noi, e cosa rischiamo di perdere dando credito alle forze oscure che si agitano nella politica di tutto il mondo.
Sandro Pertini diceva: “Alla più perfetta delle dittature preferirò sempre la più imperfetta delle democrazie”. Qualcosa di simile diceva Churchill. Frasi che ci possono ricordare che mentre continua a esistere un sistema democratico ci sarà sempre spazio per miglioramenti: quando invece si lascia uno spiraglio al totalitarismo, e si instaura una dittatura, non c’è più spazio per niente, neppure per pensare liberamente. E di solito ci vuole una guerra per riconquistarsi quelle opportunità.
La riflessione è doppiamente utile quest’anno in cui l’Italia è di nuovo prigioniera, in attesa di essere liberata da un nemico. Max Salvadori, nel suo Breve storia della Resistenza italiana, scrive: “Nel fango fascista erano affondati i valori che avevano fatto dei migliori fra gli europei l’avanguardia del progresso: la Resistenza fu la volontà di redimersi dal fascismo, di liberarsi dal fango, di riprendere la marcia verso un avvenire di libertà e giustizia“. Dedichiamo un giorno della nostra quarantena a ricordare quel giorno lontano, e troviamo nel valore del 25 aprile un’ispirazione per migliorare anche il nostro avvenire.