Furbizia e osservanza, le reazioni di Cina e Italia al Covid-19

Preoccupazione, panico, terrore. Questo climax di emozioni caratterizza il nostro Paese da diverse settimane ormai. Purtroppo nonostante la situazione estremamente delicata causata dal veloce espandersi del Covid-19, c’è ancora chi, impavido, o meglio, ignorante, decide di accantonare queste emozioni. Il problema sorge quando, insieme a sentimenti negativi che ogni tanto è bene mettere da parte, anche le regole per arginare il diffondersi del virus vengono ignorate. Ecco allora che proprio per questo il «New York Times» ci dedica un articolo. Non di certo un encomio: non si nominano le innumerevoli bellezze del nostro Paese e neanche l’efficienza del nostro sistema sanitario e dei suoi operatori in questo momento. Tutt’altro, si nomina la furbizia.

L’articolo si apre riassumendo brevemente le misure adottate dal nostro Paese per affrontare l’espandersi del Covid-19. Segue una breve intervista ad una donna residente a Milano, che proprio domenica 9 marzo era serenamente seduta ai tavoli di un bar con degli amici. Dall’alto della sua estrema prudenza, ha affermato che le decisioni prese dal Governo sono giuste, anche se rispettarle sarà un enorme sacrificio. L’autore dell’articolo non perde l’occasione di sottolineare, apparentemente in modo casuale, il fatto che la donna fosse comunque fuori dalla sua abitazione, nonostante le misure restrittive. Nell’articolo è presentata una caratteristica degli italiani: la “furbizia”, tratto distintivo riconosciuto dagli italiani stessi.

Di certo l’autore ha trovato pane per i suoi denti dopo l’assalto alle stazioni lombarde, che hanno certamente vanificato i tentativi del Governo di limitare i contagi. È anche citato il libro di Luigi Barzini intitolato Gli italiani, in cui l’autore descrive la furbizia come caratteristica principale dei suoi connazionali. Così la legge diventa un “male” necessario solo per il piacere di poterla trasgredire. Trasgressione che non si è verificata a Wuhan, dove i cittadini cinesi hanno seguito pedissequamente le regole imposte dal regime. Di certo, se gli italiani sono “furbi”, ai cinesi va riconosciuto di essere fortemente “osservanti”.

Il fatto di essere definiti con questo aggettivo, in questo caso, si può ricondurre al fatto che non da subito gli italiani hanno compreso la gravità della situazione in cui si trovavano. E non da subito le regole imposte erano così severe, in modo da scoraggiare chiunque dall’infrangerle. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha dichiarato che la misura più efficace adottata dalla Cina è stata “una fortissima sorveglianza proattiva”. In particolare, il team leader dell’OMS Bruce Aylward ha elogiato le misure prese da Pechino per limitare la diffusione del Covid-19.

Prima di tutto, le mascherine. Dal 24 gennaio scorso, i cittadini cinesi sono obbligati a indossare una mascherina in luoghi pubblici, persino per strada. Facile a dirsi, penserà qualcuno. Ma il rispetto di questa regola è garantito dalla presenza di 200 milioni di telecamere posizionate in tutto il Paese, in grado di riconoscere i cittadini trasgressori. Pena? L’arresto. In Italia invece le mascherine non sono tuttora obbligatorie nella maggior parte delle regioni, se non per pazienti infetti e personale medico, e spesso sono difficilmente reperibili. Così ci si ritrova a fare lo slalom tra uno starnuto e un colpo di tosse ogni volta che si va a fare la spesa.

In Cina, inoltre, la quarantena domiciliare è stata estesa fin da subito a tutti gli abitanti della provincia dell’Hubei, che fossero essi infetti o meno. Addirittura è stato imposto un limite alle uscite per fare la spesa: una ogni tre giorni, concessa ad una sola persona per famiglia, e ovviamente indossando la mascherina. Le persone sono quindi “etichettate” con dei codici che consentono alle autorità di identificarle, stabilendo se possano uscire, per quanto tempo e in quale area possano muoversi. Per quelle che furono le prime zone rosse italiane, invece, il divieto riguardava l’uscita o l’entrata dai territori delimitati.

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Per quanto riguarda scuole e istruzione, invece, possiamo dire di essere sullo stesso livello dei cinesi. Le scuole e le università sono chiuse anche in Italia, consentendo comunque a professori e studenti di proseguire con il programma. Le modalità attraverso le quali è possibile sopperire alla mancanza di lezioni frontali sono però leggermente diverse. Infatti in Cina la televisione trasmette lezioni scolastiche ad orario continuato, mentre in Italia le scuole e le università si sono attrezzate con “lezioni online”.

Il governo italiano finora non ha adottato misure così restrittive e così severamente punitive come nel regime cinese. Proprio per questo, è una grande opportunità per gli italiani dimostrare di poter collaborare senza bisogno del pugno di ferro. E finalmente demolire uno dei tanti stereotipi che ci rendono, ahinoi,  famosi in tutto il mondo.

Caro «New York Times», cari cittadini di tutto il mondo, gli italiani stanno dimostrando (chi più e chi meno), un grande senso di coesione, e sì, anche di rispetto delle regole. Non è stato facile, abbiamo impiegato sicuramente più tempo dei cinesi a capire come muoverci. Ma, per quanto possiamo essere famosi per la nostra “furbizia”, di certo questo non è sinonimo di menefreghismo o disumanità. Durante queste settimane sono state tante le dimostrazioni di unità e solidarietà. A partire da medici, infermieri e volontari, stremati ma sempre in prima linea, per passare poi da coloro che hanno riempito diverse città italiane di post-it con scritto “tutto andrà bene”, fonte di grande speranza. E tante, tane altre. Caro «New York Times», l’Italia uscirà da questa situazione proprio grazie a quella “furbizia” tanto decantata. Questa volta, però, sarà impiegata per riconoscere cos’è meglio in questo momento: restare in casa, e sperare.

 

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