Il revenge porn su Telegram, spiegato

In queste settimane si sta parlando molto dei gruppi di revenge porn su Telegram, ma purtroppo il fenomeno non è nuovo.

Cos’è il revenge porn?

Per revenge porn si intende la diffusione di immagini e video privati senza il consenso della persona interessata. Il nome rimanda in particolare a immagini intime, a volte sessualmente esplicite, realizzate in maniera dapprima consapevole, che finiscono in seguito in mano di altre persone senza il permesso di chi è direttamente coinvolto, solitamente per “vendicarsi” di un rifiuto o una rottura.
In realtà il termine descrive un fenomeno molto più ampio, assolutamente non circoscritto a foto condivise col proprio partner: nel calderone del cosiddetto revenge porn finiscono scatti rubati, immagini scattate o filmate di nascosto, materiale pedopornografico e persino ritratti normalissimi postati nei propri social network.

Il problema, probabilmente, esiste da quando esiste la possibilità di catturare immagini, ma è chiaro che l’utilizzo di internet l’abbia potenziato e semplificato, soprattutto grazie a servizi che garantiscono l’anonimato degli utenti. È il caso di Telegram, servizio di messaggistica istantanea molto apprezzato proprio per il rispetto della privacy: qui è facile imbattersi in chat di gruppo create appositamente per scambiare materiale di questo tipo, dove però nessuno si preoccupa di tutelare la privacy delle vittime.

Un’inchiesta di Wired del 3 aprile ha messo luce su un nuovo gravissimo caso, una chat italiana di revenge porn su Telegram che contava oltre 40.000 iscritti, con una partecipazione tale da raggiungere i 30.000 messaggi al giorno.
L’attenzione mediatica, stavolta, è partita da un tweet di una ragazza che ha scoperto che qualcuno avesse condiviso nel gruppo alcune foto del suo volto. Il nome stesso del gruppo incita allo stupro, e di fatto quello che avviene è uno stupro virtuale di gruppo, tra insulti estremamente sessisti, ricerca costante di nuovi materiali e nessuna pietà per le vittime.

https://www.instagram.com/p/B-hecH3jbxQ/

Cosa accade dentro questi gruppi?

Milioni di persone si riuniscono in una chat per scambiarsi foto delle ex, delle compagne di scuola, in alcuni casi persino delle figlie. Molti iscritti sono adolescenti che diffondono foto e video delle loro coetanee, forse senza nemmeno rendersi conto che si tratti di pedopornografia.
Gli utenti sono principalmente uomini e le vittime principalmente donne, anche se è bene specificare che anche i maschi possano essere vittime di revenge porn.
C’è un motivo, però, se a subire i danni di un’organizzazione sistematica con milioni di partecipanti sono quasi sempre le donne: lo scopo va di gran lunga oltre l’eccitazione sessuale, è quello di umiliarle, compromettere la loro reputazione, ottenere materiale altrui, partecipare a un rito collettivo in cui affermare il proprio potere. Il revenge porn, quando casi eclatanti come questo raggiungono le testate giornalistiche, è l’esempio più forte di cosa significa vivere all’interno della cultura dello stupro.

Pensiamo a Tiziana Cantone, che si è suicidata nel 2016 per scappare definitivamente alla persecuzione che le aveva rovinato la vita a seguito della diffusione, chiaramente non consensuale, di un suo video esplicito. Tra tutte le ragazze a cui succedono cose simili, lei ha avuto la sfortuna di diventare virale, tanto da ritrovarsi citata su magliette, meme, canzoni e dappertutto nei social.
C’è anche chi perde il lavoro, come è successo di recente a una donna bresciana.
Il passaggio dal virtuale al reale è estremamente breve, perché gli utilizzatori abituali di forum e chat di revenge porn non si limitano a tradire la fiducia delle loro conoscenti condividendo le loro foto con milioni di persone, ma spesso aggiungono anche nome e cognome, città di provenienza, numero di telefono e abitudini quotidiane, casomai qualcuno volesse contattarle o addirittura incontrarle di persona. Non c’è alcun rispetto, insomma, e a questo scenario desolante si aggiunge il fatto che a volte si tratta di minorenni, addirittura bambine tra gli otto e i dodici anni.

Come si mantengono in piedi le community di revenge porn?

Telegram è solo una delle tante piattaforme scelte negli anni per la realizzazione dei network di revenge porn. Sono esistiti innumerevoli forum e gruppi nei social, perciò è chiaro che cancellarli non metta realmente fine al problema.
Gli amministratori sono ben coscienti che i loro gruppi possano subire segnalazioni e ban, soprattutto quando all’interno circola anche del materiale a sfondo pedopornografico, che giustamente non è tollerato nemmeno da Telegram, quindi ricorrono a diversi stratagemmi per garantire la longevità della community.
Si crea un gruppo di riserva, per esempio, dove raccogliere in anticipo gli iscritti in caso di ban, oppure si organizza una rete di “affiliazioni” con altri gruppi o canali, con i quali concordare sponsorizzazioni reciproche, utili soprattutto per ritrovare i propri utenti dopo un’eventuale cancellazione del gruppo.
A volte i canali affiliati non hanno niente a che vedere col revenge porn: è per questo che imbattersi in questi gruppi è relativamente facile, anche senza invito.
Spesso, quando si tratta di canali molto seguiti, queste affiliazioni sono a pagamento e rappresentano un vero e proprio business per gli amministratori. Nel caso del revenge porn, interi archivi di foto e video privati vengono venduti tramite buoni Amazon e ricariche PayPal.

https://www.instagram.com/p/B-uirk0q9W5/?utm_source=ig_web_copy_link

Cosa si può fare contro il revenge porn?

Venire a conoscenza dei gruppi di revenge porn è un duro colpo per chiunque, soprattutto considerando il numero di iscritti, la presenza di pornografia infantile e il linguaggio d’odio che li caratterizza. Il sistema, poi, è così ben radicato e organizzato da apparire quasi invincibile: possiamo segnalare in massa un gruppo fino a farlo chiudere, ma altre community verranno aperte come se niente fosse.
È per questo che il collettivo di hacktivisti Anonymous Italia ha dichiarato di voler rintracciare i fondatori dei gruppi e i membri più attivi, soprattutto i responsabili della diffusione di pedopornografia, pubblicando insieme al collettivo LulzSecIta i loro dati su Twitter allo scopo di fermare il fenomeno attaccandoli personalmente.

Per completezza, è bene sottolineare che in Italia esiste già da un anno il reato di revenge porn. Sono previste multe fino a 15.000 euro e la reclusione fino a sei anni, anche per chi diffonde i materiali dopo averli ricevuti da qualcun altro.
A denunciare, però, deve sempre essere la vittima diretta, mentre è fortemente sconsigliato (se non completamente inutile e addirittura rischioso) raccogliere prove, come screenshot, sull’abuso di qualcun altro. A questo proposito, Vice ha pubblicato alcuni consigli importanti per le vittime di revenge porn che vogliono denunciare l’accaduto. Denunciare non è mai semplice, ma è fondamentale che ci si muova in questa direzione, per dimostrare a chi compie queste bestialità che il virtuale possa avere conseguenze gravissime sulla realtà. Per adesso, purtroppo, lo sanno solo le vittime.

Perseguire legalmente i responsabili è essenziale, ma per risolvere il problema alla radice servirà l’impegno di tutti, ma proprio tutti. Per cominciare, è importante parlarne, nella speranza che sempre più persone, e soprattutto uomini, prendano posizione e facciano sentire il loro dissenso davanti a una realtà così ripugnante. Se per il momento non abbiamo ancora maturato una vera e propria consapevolezza, solo continuando a parlarne potremo educare ed educarci, scardinare pregiudizi, stereotipi e doppi standard, gli stessi che ci impediscono di capire e accettare fino in fondo cosa siano il consenso e la libertà sessuale.

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