Storie di isteria di massa e psicosi collettiva nell’arte

Una panoramica su come la paura condivisa omologhi il comportamento del singolo a quello della collettività, in una rappresentazione artistica che deforma angosciosamente i corpi e le menti.

Come può un comportamento collettivo influenzare il singolo individuo? Il sociologo medico Robert Bartholomew definisce l’isteria di massa come “un disturbo nervoso caratterizzato da un rapido diffondersi di sintomi di malattia all’interno di un gruppo sociale coeso, e per il quale non viene riscontrata una causa organica”. Si tratta quindi di allarmismo, dovuto a cause esterne reali o solo presupposte. Agisce sulla collettività come insieme eterogeneo di persone, unite però da paure comuni.

isteria di massa
Abbandono alla pazzia

Queste sono specchio di una società dove la preoccupazione del singolo si estende a una forma di psicosi collettiva. La causa è la connessione informativa frenetica e dilagante che influenza più menti in un effetto domino. Una catena umana, dunque, che condivide sintomi legati all’azione dei neuroni specchio. Tale fenomeno consiste nel ricreare, nella mente dell’osservatore, un’azione da lui osservata. In questo modo è come se la compisse lui in prima persona.

Laddove l’azione dei neuroni specchio è in qualche modo disinibita, l’osservazione mentale di un’azione diventa imitazione del comportamento altrui. I soggetti, quindi, assorbono sensazioni di ansia e preoccupazione che deformano l’identità personale. L’esempio principe di tale fenomeno a livello artistico è dato dall’Espressionismo di inizio Novecento.

L’Espressionismo

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Ernst Ludwig Kirchner, Scena di strada

Artisti come Edvard Munch e Ernst Ludwig Kirchner dipingono volti mostruosi, deformati dalla paura a cui la società li conduce. I loro corpi sono freddi e immobili come quelli di manichini che hanno perso, o non hanno mai avuto, una propria identità. Per questo vagano per le strade senza una reale cognizione delle loro azioni. Si lasciano trasportare dall’omologazione del comportamento altrui.

Così le linee apparentemente taglienti degli espressionisti diventano rappresentazione di un caos calmo. Quello con cui le persone fuggono dalle loro paure in un incipiente isteria di massa. Paure collettive, dall’inquinamento al terrorismo, che hanno come punto ultimo la morte. È il terrore che sottende a tutte le altre paure, perché ha come effetto immediato l’annullamento dell’essere. Il suo ciclo vitale è destinato a nascere dal nulla e morire nel nulla.

La paura della morte, identificata con la paura della fine, è causa di isteria di massa e psicosi collettiva. Questo perché l’individuo non riconosce più sé stesso, se non nella paura che lo attanaglia. Tale deformazione identitaria lo porta a compiere azioni che non gli appartengono, o almeno, che appartengono a uno strato recondito della sua psiche. Sono comportamenti irrazionali, che vengono imitati in un circolo vizioso di eventi.

Edvard Munch, L’urlo (1893-1910)

Si preannuncia una potenziale apocalisse, sempre all’erta, tanto che è necessario esorcizzare la paura, così come facevano gli antichi romani. Tre volte l’anno veniva aperta una fossa, chiamata mundus, per lasciare camminare liberamente i morti sulla Terra. In questo modo la paura assumeva dei limiti spaziali e temporali, così che la minaccia incombente dell’apocalisse fosse limitata a quei giorni.

Vincent Van Gogh

Lo fa anche Vincent Van Gogh, esorcizzando la paura della morte con l’opera Teschio con sigaretta accesa (1885-1886). Un’immagine dissacrante, che riduce la morte a un cumulo di ossa incapace di agire in alcun modo. Si tratta di una limitazione visiva e mentale, in grado, forse, di sconfiggere la paura.

La stessa che spinge le persone, con la contemporanea pandemia del Covid-19, ai folli assalti ai supermercati, a fughe strategiche o all’ingordigia di risorse, come Amuchina e mascherine, considerate indispensabili.

Le teorie di De Marino e l’isteria di massa

Di questo tipo di perdizione e disorientamento ne parla l’antropologo Ernesto De Martino nella sua opera La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali. La sua teoria illustra come i due contraltari di pensiero della cultura occidentale siano perdere il mondo o essere perduti nel mondo.

Covid-19

La globalizzazione ha così determinato l’abbandono di un orizzonte domestico, di uno spazio in cui l’individuo si sente sicuro perché avverte che quello spazio è suo. L’amalgama contemporanea prevede invece che il soggetto possa sentirsi a suo agio in più realtà nello stesso momento, grazie a un più accentuato spirito di adattamento.

Questo è utile alla sua esperienza sociale e culturale, ma debitore alla perdita di riferimenti stabili. La conseguenza è un abbandono identitario che conduce all’irrazionalità in momenti di panico. Quel vortice caotico ma ordinato che compone i pastiche di forme e colori di Jean Dubuffet. Sembra quasi un puzzle, dove ogni frammento, prima o poi, è destinato a ritrovare la sua posizione.

E così è l’isteria di massa. Un fenomeno esplosivo e momentaneo, destinato a spegnersi dietro nuovi eventi che soffocano temporaneamente le paure. E tutta la brulicante angoscia collettiva si spegne dentro storie che tornano alla loro normalità.


 

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