Pensate all’Italia, terra di navigatori e pensatori. Culla di cultura ed innovazione. Patria di scoperte e di ricchezza. Detentrice di 55 patrimoni dell’umanità. Ora mettete via tutto ciò che è stato detto e concentratevi su una realtà, descritta perfettamente dal cinema, dove prevalgono povertà, arretratezza e disagio. Tutto questo è Il ladro di Bambini.
L’ambito cinematografico
Il film Il ladro di bambini (1992), di Gianni Amelio, rappresenta uno spartiacque del nuovo cinema italiano pre-2000, un nuovo modo per mostrare non solo più realtà sociali, ma anche paesaggi dell’Italia dell’epoca. La povertà e la difficoltà di sopravvivenza di una famiglia siciliana emigrata a Milano spinge una madre alla prostituzione della giovane figlia Rosetta, 11 anni.
Il viaggio da Milano
A causa dell’assenza di una figura paterna, dopo che la madre era stata scoperta ed arrestata, i due figli Rosetta e Luciano, 9 anni, vengono destinati ad un orfanotrofio a Civitavecchia. Sarà il compito di un giovane carabiniere calabrese, Antonio, e del suo collega, accompagnarli nel lungo viaggio da Milano al comune laziale. Arrivati a Bologna, il collega decide di incontrare una vecchia fiamma, lasciando così Antonio solo. Arrivati a Civitavecchia, l’istituto, disinteressato delle condizioni dei due bambini, si rifiuta di ammetterli dato che sembra mancare un certificato medico di Rosetta.
Al sud
Antonio, che nel frattempo ha completamente perso il controllo della situazione, decide, senza chiedere aiuto per non far scoprire il suo collega, di continuare il viaggio con i due ragazzi fino a Gela, dove un altro istituto sarebbe stato pronto ad accogliere Rosetta e Luciano. Giunti in Calabria, trascorrono un giorno a casa della sorella del carabiniere, in concomitanza con un pranzo di Prima Comunione di un loro parente.
I bambini hanno l’occasione di distrarsi e socializzare con i coetanei, tranquillizzati dal fatto che Antonio li ha presentati come figli di un suo superiore. Ad un certo punto la signora Papaleo, un’invitata bigotta e petulante, riconosce Rosetta da una foto vista su un giornale e va in giro a raccontare che la ragazzina ha un passato da prostituta. Rosetta subisce il colpo e inizia ad assaporare quello che sembra essere una macchia indelebile sulla sua vita. È da questi difficili momenti che il rapporto tra i tre, da distaccato e diffidente, si fa più profondo e solidale.
In Sicilia
Il Ladro di Bambini prosegue in Sicilia. Mentre i tre fanno la conoscenza con delle turiste francesi presso la Cattedrale di Noto, un ladro ruba la macchina fotografica ad una delle ragazze, Antonio senza pensarci due volte lo arresta e lo porta in caserma. Sarà qui che dovrà per forza di cose spiegare la sua situazione al maresciallo che lo rimprovererà duramente ricordandogli che la legge stessa potrebbe considerare le sue azioni come sequestro di persona.
Nonostante le pesanti raccomandazioni dell’ufficiale, Antonio decide di continuare il viaggio, anche se profondamente affranto dai risvolti negativi che ha ottenuto la sua “opera di bene” e domandandosi come sia possibile una tale indifferenza nei confronti di due bambini in una situazione così grave.
Giunti infine in prossimità dell’istituto, i tre si fermano a dormire in auto. La vicenda si conclude alle prime luci dell’alba, quando i due fratelli restano seduti sul ciglio della strada a parlottare, in attesa di conoscere qualcosa del loro destino.
Il paesaggio. Cosa ne possiamo trarre
Due aspetti sono fondamentali per Amelio: il paesaggio e l’animo umano.
Il paesaggio di tutta l’Italia, da nord a sud, è elemento centrale nel film, non semplice sfondo; infatti, mentre il film racconta il viaggio da Milano alla Sicilia che il carabiniere compie lungo il territorio italiano, questo scorre sullo schermo come contrappunto e coprotagonista rispetto alla vicenda”. La tecnica del “road movie” utilizzata da Amelio è perfetta per rappresentare il deturpamento e l’azione dell’uomo sul paesaggio italiano, infatti il regista vuole mostrare come “mentre lungo l’arco della storia le posizioni psicologiche dei tre protagonisti mutano, il contrappunto del paesaggio rimane costantemente caratterizzato dalla testimonianza del suo uniforme degradato da nord a sud.
Il via vai cittadino nei pressi della stazione, il Grattacielo Pirelli in secondo piano che sovrasta la città e che diventa ufficialmente, al posto della Madonnina, il nuovo simbolo della Milano operativa e produttiva. Questi non sono altro che uno specchio per le allodole, che copre la vera realtà urbana della periferia mostrata dal regista.
Attraverso una vicenda triste ma vera come quella rappresentata dai due bambini, Amelio, “sceglie di parlare […] di problemi relativi al paese, politici e ambientali”.
Ne Il Ladro di Bambini, Antonio rappresenta una figura di grande importanza nella Milano degli anni Novanta. Calabrese di nascita ma milanese per necessità, il carabiniere sembra essere l’unico ad avere ancora dei sentimenti e una morale. Intorno a questo personaggio c’è il vuoto, l’egoismo e il menefreghismo più totale.
La storia di Rosetta e Luciano, seppur adattata al grande schermo, non è altro che una delle tante realtà della nostra penisola. Una realtà triste, degradata, che fa male e che trova, ancora una volta, nel paesaggio italiano un perfetto compagno di vita.
FONTI
Corna Pellegrini, Il paesaggio come questione morale, CUEM, Milano, 2003.
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