Seneca invitava il suo amico Paolino a “vivere una vita ritirata” perché i mille impegni della vita non permettono di vivere davvero. Cosa intendeva? E come può aiutarci questo suo invito, in questa difficile primavera 2020?
[La lettura di Seneca è segno di un animo audace, coraggioso, che non ha paura di mettersi davanti a se stesso e mettersi in discussione, dalla prima all’ultima pagina. Non è eccessivo dire che la lettura di Seneca sia un evento spartiacque nella vita di ogni persona. Se hai voglia di saperne di più su Seneca in generale, dai uno sguardo a questo articolo di qualche tempo fa. Nell’articolo qui di seguito, invece, dimostreremo quanto la lettura di Seneca può farci compagnia e aprirci gli occhi in questo periodo in cui rischiamo di assopirci ed impigrirci un po’ troppo]
La maggior parte degli uomini, o Paolino, si lamenta dell’ingegnosità della natura, perché nasciamo destinati ad una vita breve, e il tempo che ci è concesso trascorre in fretta; così rapidamente che, salvo per pochissimi, la vita ci abbandona proprio quando ci apprestiamo a viverla.
Inizia così quello che è uno dei dialoghi più toccanti di tutta la produzione senecana: il De brevitate vitae. Tale scritto è dedicato all’amico di Seneca, Paolino, al quale l’autore vuole dare un consiglio. Paolino, infatti, riveste una carica pubblica impegnativa, che lo porta ad impiegare tutto il proprio tempo in quella che i latini chiamano la vita activa, cioè pubblica, sociale.
A questo suo giovane amico, Seneca consiglia invece di vivere una vita ritirata e volta ad usare il tempo in modo efficace. Tutti gli uomini, infatti, continuano ad affaccendarsi in occupazioni vane, ed è per questo che, quando arriva il momento di morire, sentono di non aver vissuto abbastanza. L’uomo che usa giustamente il tempo è colui che si occupa di ricercare la verità, dice Seneca. Per quest’uomo la paura della morte non esiste, perché avrà vissuto una vita soddisfacente e ricca.
Perché vi proponiamo questa lettura, in questo periodo così caotico, ma, al contempo, così “ritirato” (nel senso di solitario)?
Questo dialogo, letto oggi e in questa situazione sociale così insolita e, per certi versi, drammatica, può aiutarci a scoprire cose di noi e della nostra interiorità che fatichiamo ad ammettere, o che semplicemente non abbiamo il tempo di cercare o la voglia di guardare. Andiamo a scoprire perché.
Seneca, proprio verso l’inizio del suo dialogo, scrive:
In realtà, non è che di tempo ne abbiamo poco: è che ne sprechiamo tanto. La vita che ci è data è lunga a sufficienza per compiere grandissime imprese, purché sia spesa bene.
Chiediamoci, in questo momento di pausa, in cui possiamo permetterci investire del tempo provando a guardare la nostra vita con uno occhio esterno, cercando di essere il più oggettivi possibile: sono felice di come sto vivendo il mio tempo? Sto studiando ciò che mi piace? Sono soddisfatto della persona che sono, del mio lavoro, dei miei sabati sera o, banalmente, della mia routine? Mi rendono felice gli affetti che mi circondano? Mi manca il mio ragazzo, che non vedo da settimane? E mi manca perché sono davvero innamorata di lui, o solo perché mi sento sola? Oppure non mi manca per niente?
Queste e molte altre sono le domande che possiamo rivolgere a noi stessi, ritirandoci dalla nostra vita solita e rifugiandoci dentro di noi. Quale momento migliore di questo? Quale occasione migliore per conoscerci e metterci a nudo, davanti a noi stessi, spogliandoci delle nostre paure ed insicurezze?
Paradossalmente, infatti, se ci fermiamo a riflettere, ci accorgiamo che non è facile sentirsi nudi e guardarsi allo specchio. Tendiamo a coprirci di bugie, e questo perché la lealtà e il rispetto verso se stessi vanno imparati ed esercitati. Dunque, questo è il miglior momento per iniziare.
Pensiamo a tutte le volte che abbiamo rimandato a domani ciò che avremmo potuto fare oggi, a tutte le volte che abbiamo avuto paura di sbagliare (un esame, un bacio, un dire “grazie” o un chiedere “scusa”) e quindi abbiamo preferito non agire affatto, e chiediamoci, con Seneca:
Quale ne è, dunque, la causa? La causa è che vivete come se doveste vivere per sempre, non vi ricordate della vostra precarietà; non osservate quanto tempo è già trascorso, lo sciupate come se ne aveste in abbondanza, mentre invece proprio quella giornata che state dedicando a qualcuno o a un affare qualsiasi potrebbe essere l’ultima. Temete tutto come mortali, ma desiderate tutto come immortali.
Seneca ci ricorda che lo stesso fatto di “concedere tempo alle persone” non è scontato: il tempo è il regalo più grande che si possa fare o ricevere da qualcuno. A proposito di ciò, Seneca scrive:
Lo si chiede come fosse nulla, e come nulla lo si concede. Si scherza con la cosa più preziosa di tutte senza accorgersene, perché è immateriale e non cade sotto gli occhi.
A chi stai regalando il tuo tempo? Come lo stai usando?
Dedichiamo questo articolo a tutti i Paolini che ci leggono, e che abbiano voglia di cercare un po’ di risposte in loro, partendo dagli spunti delle domande poste da un interlocutore un po’ vecchiotto, ma eternamente attuale: Seneca.
Seneca, Dialoghi morali, a cura di G. Manca e C. Carena, 1995, Torino, Einaudi editore s.p.a.