In queste drammatiche, sconvolgenti settimane di quarantena, la vita di ciascuno è stata travolta e catapultata in una dimensione che per molti può apparire insopportabile, opprimente e disturbante, pur restando chiaramente necessaria.
Vi è chi è rimasto casa da solo, chi in coppia. Ci sono anche le famiglie, talvolta numerose, che devono accudire i propri figli, soprattutto quando si tratta di bambini anche molto piccoli, per i quali la scuola (ormai sospesa nella modalità “didattica in presenza”), costituisce una seconda casa, un luogo saldo e un porto sicuro dove investire il proprio tempo non solo apprendendo nozioni, ma anche incontrando amici e insegnanti, un ambiente di socializzazione dove il rapporto e il confronto con l’altro sono imprescindibili.
Ebbene non sono sicuramente i bambini i soggetti più colpiti psicologicamente da questa condizione di isolamento sociale. Essi sono coloro che più di tutti conoscono il valore della fantasia, dell’immaginazione e i primi che la mettono in pratica, sopratutto nei momenti di noia, tedio e talvolta di difficoltà.
E per i bambini il metodo prediletto per incanalare questa fantasia resta la pittura, il disegno. E del resto non è un caso che la prima forma d’espressione che essi sperimentano istintivamente, spontaneamente, sia proprio quella figurativa. Pare esserci, infatti, una sorta di istinto innato e intrinseco, per il quale l’essere umano, ancor prima di imparare a leggere o scrivere, sia predisposto anzitutto a una comunicazione figurativa, che opera dunque per immagini, forme e figure, ancor prima di adottare una comunicazione verbale.
Ostacoli e fantasia
Tornando alla fantasia, anche se può sembrare paradossale, sono proprio la costrizione, il tedio, la noia, l’isolamento, le condizioni nelle quali la mente si fa più creativa e immaginifica. Vale a dire tutte quelle situazioni (pur contingenti) in cui si è impediti da qualcosa, da un ostacolo, da un’impossibilità fisica, insomma da una costrizione, anche opprimente o insopportabile, ma che, proprio perché in quanto tale, è la condizione nella quale la fantasia entra maggiormente in gioco.
Insomma la fantasia, o immaginazione, viene in aiuto proprio nelle situazioni in cui la nostra coscienza sembrerebbe essere più minacciata o, volendo essere ancora più radicali, quando la libertà stessa sembra in pericolo. Quasi l’immaginazione fosse quel luogo privilegiato in cui ciascuno sperimenta il più alto grado di libertà che si possa realizzare, nonché quello più autentico e incontaminato. Un luogo in cui, per quanto interiore e segreto, ciascuno può essere davvero se stesso.
E allora perché non sfruttare questo periodo di quarantena, di “isolamento” sociale, per riscoprire questo luogo recondito e segreto?
Perché dunque non cogliere l’occasione per riesumare la propria sfera creativa e metterla in gioco non solo come mezzo distraente per affrontare il periodo critico che tutto il mondo sta attraversando, ma anche come strumento di introspezione e di analisi del sé, operato mediante uno scavo interiore?
La creatività, in particolare quando trova espressione nella scrittura, nella musica e sopratutto nel disegno e nella pittura, si offre più di ogni altra cosa a beneficio della mente e, perché no, dell’esistenza stessa. Può essere, a tutti gli effetti, un piccolo ma potentissimo strumento di auto-realizzazione personale, mediante il quale fornire una via di fuga alla propria coscienza, anche solo temporaneamente.
Infatti è proprio di fronte a fattori di stallo come la noia, oppure ostacoli e costrizioni di carattere anche fisico, come “l’isolamento”, che la mente è più stimolata a innescare processi creativi, i quali non restano fini a se stessi, ma possono confluire in una creatività che magari non si sapeva nemmeno di possedere, una creatività che, se accudita, può essere un efficace rimedio contro questi “ostacoli” di carattere sopratutto emotivo, psicologico, quali la noia e la costernazione.
La lezione di Friedrich e Leopardi
Questa proprietà che l’immaginazione possiede, permettendo all’individuo di “valicare” l’ostacolo, di qualunque natura esso sia, fu compresa in maniera significativa e paradigmatica sopratutto dagli artisti del Romanticismo di primo ‘800. Si può dire che tale proprietà costituisse uno dei pilastri portanti della cultura romantica stessa.
Vi fu un pittore che, più di altri, seppe illustrare sapientemente questa caratteristica: Caspar David Friedrich, pittore tedesco esponente di punta del Romanticismo.
In particolare vi è una sua opera che, più di altre, si offre come modello esemplificativo di quell’essenza liberatoria dell’immaginazione di cui poco fa si è parlato. Si tratta del celebre dipinto Viandante sul mare di nebbia, realizzato da Friedrich nel 1818. Un’opera nella quale il pittore illustra un viandante (un viaggiatore, si direbbe oggi) che si erge sul crinale di un monte o di un’altura, e scruta davanti a sé questo “mare di nebbia” che si solleva dalle cime sottostanti, impedendogli lo sguardo.
Innanzi a lui dunque si staglia un paesaggio che appare insormontabile, arduo, sinistro e sicuramente ostico da affrontare. Un paesaggio punteggiato da quella serie quasi infinita di vette acuminate che pare presagiscano sofferenza e da quella nebbia offuscante che intralcia la sua veduta, impedendogli di sapere dove stia andando e cosa dovrà davvero affrontare nel suo viaggio senza meta.
E tuttavia egli sa che non può far altro che proseguire, andare avanti, nonostante gli impedimenti che si impongono davanti a lui come forze oscure, intralciando il suo cammino. Anzi è proprio perché questi elementi non lasciano spazio alla vista, che nel viandante emerge potentemente il desiderio di “andare oltre” quegli ostacoli fisici e visivi, nella speranza e con la determinazione di raggiungere quello squarcio di infinito che si offre timidamente nel fondo del paesaggio.
È peraltro significativo che negli stessi anni in cui Friedrich realizza questo dipinto Giacomo Leopardi porti a compimento L’infinito.
Altrettanto significativo è il fatto che anche nell’infinito emerga questa proprietà che gli ostacoli hanno di sollecitare l’immaginazione più profonda.
E se Friedrich individua l’ostacolo in quel mare di nebbia, per Leopardi l’ostacolo è rappresentato invece dalla siepe. Una siepe che proprio perché ostacola la vista (“il guardo esclude”), sollecita l’immaginazione del poeta (“nel pensier mi fingo”)
E mai nessuno come Leopardi seppe cogliere con parole questa condizione, questo stato d’animo transitorio, ma che si colloca alle radici dell’esperienza umana e che scaturisce, paradossalmente, dalla dialettica tra il visibile e l’invisibile che l’ostacolo cela.
Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma, sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio;
e il naufragar m’è dolce in questo mare.
Friedrich e Leopardi condivisero la stessa anima tormentata e ostacolata dalle circostanze della vita. Entrambi però, dinanzi alle dure prove dell’esistenza umana, seppero trasformare il dolore in poesia o immagine, e seppero placare la furia e la turbolenza dello spirito con parole o colori. Ma soprattutto entrambi furono in grado di valicare gli scogli della vita per raggiungere, attraverso le infinite vie dell’immaginazione, quell’infinito tanto agognato.
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