Lentamente, filo dopo filo, il ragno nell’angolo del soffitto continua a tessere la sua tela. Filo dopo filo, calcolando bene dove finirà il precedente e dove inizierà il successivo. Controllando che i nodi siano abbastanza resistenti, che il ricamo non ceda sotto al peso della futura vittima.
Filo dopo filo, il disegno prende forma, l’architettura ben studiata diventa evidente. Funzionerà, è una trappola letale.
Un passo in avanti, uno indietro, le zampe velocissime, la danza dell’astuto.
Tra poco sarà tutto pronto e non resterà che aspettare una malcapitata mosca, coccinella, farfalla notturna.
I nodi si stringeranno. I fili bavosi scivoleranno come cappi impossibili da sciogliere. La vittima non avrà via di scampo. E lui, il cacciatore, la guarderà agonizzare fino a che non sarà soddisfatto e deciderà di andarla a mangiare per saziare la sua fame di cattiveria, di rabbia, di vendetta e di sopravvivenza.
– Cosa sei venuto a fare?
– Ho bisogno di parlarti.
– Non ti voglio più vedere.
– Perché fai così? Cosa stai cercando di fare?
Lei lo guarda, si alza in piedi, ma non si avvicina.
– Davvero, non capisco.
Lui resta immobile davanti a lei a pochi centimetri di distanza. La guarda legarsi i capelli con un elastico, le ciocche che le cadono davanti agli occhi, che sfuggono dal nodo.
Poi si allontana. Lei abbassa lo sguardo sul pavimento, lui lo solleva su un angolo del soffitto per fermare le lacrime che stanno per scendergli sulle guance.
– Sei cattiva.
– E io cosa dovrei dire di te?
– Io non ti ho fatto nulla.
Lui fa un passo indietro, lei torna a sedersi sul divano con le gambe incrociate.
– Dimmi cosa vuoi.
È come avere un cappio intorno al collo, le parole non gli escono più dalla gola.
– Posso aprire la finestra?
– No, ho freddo.
Lei si conficca le unghie nei palmi delle mani. Più forte, più forte ancora. Non lo guarda, continua a guardare il pavimento e il disegno delle venature del marmo bianco.
Voglio farti del male. È quello che sto cercando di fare. Farti soffocare. Ma ora sono io a sentirmi soffocare.
Lui le si avvicina, le tocca le mani rosse e nervose, smettila di scarnificarti.
Guardami. Cosa sono? Cosa sono diventato?
– Dimmi cosa devo fare.
– Andartene.
Il principio del panico. È un grumo nero che sale dallo stomaco alla gola. Qualcosa che è andato storto. Non era così che doveva andare. Doveva stringere e stringere ancora, fino a farlo morire. Ma ora era lei che stava morendo. Entrambi allo stesso tempo.
– Andarmene? Vuoi davvero che me ne vada?
Lei si alza di nuovo. Lui le prende le spalle. Ferma. Resta qui. Ed è in quel momento che il nodo si stringe intorno a lei, non intorno a lui. Ma era tutto calcolato alla perfezione. Chi lascia deve avere un piano. Una fame da soddisfare. Una vittima da scarnificare e da sbranare. Ora era lei a piangere contro la sua spalla e lui ad accarezzarle la schiena.
Hai stretto troppo forte. Non hai fatto attenzione. Hai costruito la tua tela con cura fino a un certo punto, poi qualcosa è andato storto. E sei rimasta intrappolata nella tua stessa ragnatela.
– Restiamo così.
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