Quando Marco Mengoni si è presentato ai provini di X Factor nel 2009 era una torrida giornata di luglio. Indossava un maglione di cotone, si mangiava le unghie davanti alle telecamere e aveva la febbre. La sua esibizione degli Home Visit non rivelava quasi nulla di ciò che avrebbe dimostrato in seguito. Morgan lo scelse come ultimo concorrente della sua categoria Under 24, un po’ titubante nella sua decisione. Tuttavia, alla prima puntata in diretta del programma, gli fece eseguire Man In The Mirror, di uno straordinario Michael Jackson appena scomparso. E da lì, nacque la magia.
La timidezza camaleontica di X Factor
Nelle tredici puntate in diretta della terza edizione di X Factor, c’è una cosa che Marco Mengoni non ha mai fatto: annoiare. Il suo percorso all’interno del programma è stato vario e durante quei tre mesi ha dimostrato di saper interpretare qualsiasi brano e genere musicale: dalla recente L’amore si odia di Noemi a Notorius dei Duran Duran, fino a una sofisticata My Baby Doesn’t Care di Nina Simone e una scatenata Back In Black degli AC/DC.
Tuttavia, il pubblico ha iniziato ad amare Mengoni non solo per le sue indiscusse doti canore e per la sua versatilità: Marco ha conquistato i telespettatori con la sua personalità complessa, non semplice da comprendere. In alcune performance, quelle più intime e profonde, era facile cogliere parte del passato che cercava di nascondere. Mentre cantava, quel ragazzo timido davanti alle telecamere si metteva a nudo, svelando le sue fragilità e al tempo stesso la sua forza. Così, quella combinazione meravigliosa di voce, presenza scenica ed emotività ha fatto sì che vincesse il programma e si esibisse come concorrente sul palco di Sanremo.
Il primo Sanremo
Sono trascorsi solo dieci anni, eppure durante la scorsa decade il Festival della Canzone Italiana si è in parte trasformato. Quando Marco partecipò per la prima volta alla rassegna musicale più famosa d’Italia, si presentò con Credimi Ancora. Indossava una camicia metà bianca e metà nera, dei pantaloni di pelle aderenti e una matita marcata a contornargli gli occhi. Cantava di un re matto, dell’ambiguità e del perdersi in qualcun altro.
D’improvviso parecchia gente mi ha piazzato su di un piedistallo, o uno di quei troni dorati medievali. È facile, quasi automatico sentirsi un re: poi però torni a casa, incroci il primo specchio, ti ci guardi dentro e vedi la verità, cioè un ragazzo assolutamente normale, con gli stessi pregi e difetti di prima.
Il testo fece discutere, l’abbigliamento ancora di più, la critica ancora non lo riconosceva come un cantante di alto livello ma si classificò ugualmente terzo, battendo in poche settimane dall’uscita del suo EP il record di vendite degli altri concorrenti.
L’estremismo di Solo 2.0 e il baratro
Dopo le 56 date del Re Matto Tour tra la primavera e l’estate del 2010, Marco si prese una pausa per potersi dedicare al suo primo album in studio. A settembre 2011 uscì Solo 2.0, anticipato dall’omonimo singolo. L’immagine che Mengoni delineò di sé nelle dodici tracce presenti nel disco era sconvolgente, fuori dall’ordinario, ma al tempo stesso perfettamente inserita all’interno della storia musicale italiana. In Solo 2.0, l’artista lascia spazio ad atmosfere prevalentemente buie, sonorità spesso distorte e una voce poliedrica. In brani come Dall’Inferno e Solo prevalgono ritmi rock e tonalità vocali ampie e sensuali, in Tanto il resto cambia e L’Equilibrista, invece, regnano intimismo e introspezione. Al confine tra pop, soul e rock, Solo 2.0 sfuggiva alle banali categorizzazioni e ne risentì.
Forse l’album risultava troppo all’avanguardia per la giovane carriera di Marco. Forse, le radio e la critica ancora non simpatizzavano molto per quel giovane neanche ventitreenne che non aveva paura di truccarsi sul palco e lasciarsi andare. Si potrebbero trovare molti motivi per cui Solo 2.0 non vinse la sfida che involontariamente aveva gettato al mercato musicale di quell’anno. Fatto sta che se con Re Matto tutti avevano messo Marco Mengoni su un piedistallo, dopo quel disco sembrava che glielo volessero togliere.
La rinascita con L’Essenziale
Per promuovere Solo 2.0, Mengoni fece due tour, uno nei palazzetti e uno teatrale, che terminò a giugno. Dopo mesi di silenzio, il cantante fece di nuovo sentire la sua voce al Festival di Sanremo del 2013, che lo stesso Marco lo definì come la sua “ultima possibilità”. Marco Mengoni aprì la sessantatreesima edizione presentando L’Essenziale, una ballad intima e romantica. Cantava “se il gioco si fa duro, è da giocare” e lo dimostrò per tutte le cinque serate della gara. La canzone gli diede modo di modulare la sua voce senza virtuosismi, ma potendone scoprire tutta la potenzialità. Nonostante questo, qualche giornalista storceva ancora il naso davanti al suo inedito, a causa probabilmente del pregiudizio “del talent show” che incombeva. Tuttavia, alla puntata delle cover, nessuno poté più ribattere.
Marco Mengoni salì sul palco dell’Ariston con Ciao Amore Ciao di Luigi Tenco: emozionato e commosso fino alle lacrime, fece rivivere al Festival di Sanremo il cantautore italiano che durante quella gara era scomparso. La sua esibizione mise d’accordo tutti, persino la famiglia Tenco che lo chiamò per fargli i complimenti. Per lui, quella era già una vittoria. Non avrebbe mai immaginato che, la sera successiva, Fabio Fazio e Luciana Littizzetto annunciassero il suo nome come trionfatore del Festival. Eppure, andò così. In un solo mese, L’Essenziale fu certificato disco multiplatino con 60.000 copie vendute e Pronto a correre, l’album uscito qualche settimana dopo, entrò subito in vetta alle classifiche italiane. Marco si era ripreso il suo piedistallo e, questa volta, nessuno sarebbe più riuscito a sottrarglielo.
La prima parte della “playlist in divenire“: Parole in circolo
Dopo il successo travolgente di Sanremo, non era facile superare l’alto livello di aspettative che si era creato per il nuovo progetto di Mengoni. Nel 2015, il cantante pubblica ben due album, Parole in Circolo e Le cose che non ho. Usciti a undici mesi di distanza, i due dischi fanno parte di un progetto che Marco ha definito “playlist in divenire“. Infatti, in seguito al trionfo de L’Essenziale e Pronto a correre, aveva iniziato a scrivere e registrare liberamente, senza preoccuparsi troppo della coerenza dei brani. Così ogni canzone rappresentava un mondo a sé.
Per quanto riguarda Parole in circolo, la vera gemma della tracklist è Guerriero, il primo singolo estratto, certificato per ben sei volte disco di platino. Al primo ascolto, Guerriero sembra una canzone “nascosta”: i toni bassi del cantato e la base elettronica quasi ovattata ne creano un’atmosfera quasi misteriosa e tetra. Il testo, però, si staglia su di essa, con parole di conforto e coraggio. Guerriero è una poesia in musica da dedicare a chiunque si prodighi per gli altri, a chi non ha paura di cadere perché trova sempre e comunque la forza per rialzarsi e andare avanti.
Il secondo atto: Le cose che non ho
Anche Le cose che non ho è l’esatto contrario di un concept album, sulla scia della playlist caleidoscopica già citata. Marco Mengoni sembra giocare in piena libertà con generi e sonorità, andando da brani delicati e intimi, come Ad occhi chiusi, a quelli più moderni ed estrosi, come Nemmeno un grammo, dove si uniscono la tradizione musicale italiana a quella internazionale. La spiegazione del titolo del disco data dal cantante è un autentico carpe diem moderno:
“Le cose che non ho” è il titolo che ho scelto per ricordare a tutti, ma prima di tutti a me stesso, quanto sia importante sapersi guardare dentro, imparare a godersi gli attimi della vita, i singoli momenti che compongono una giornata, e – nel mio caso – la fortuna che mi è capitata di fare ogni giorno quello che più mi piace.
Come per Parole in circolo, una delle perle dell’album è il primo singolo estratto, Ti ho voluto bene veramente. La base elettronica (in cui spiccano i synth) ricorda quella di Guerriero, ma in questo caso il testo si avvicina di più al filone romantico cantautoriale. Rifacendosi a un tema caro alla letteratura, si parla di un viaggio di formazione, alla scoperta di se stessi e dei propri sentimenti, tacitati troppo spesso. Attraverso questo percorso si conosce la solitudine e ci si scontra con la consapevolezza di aver lasciato indietro persone importanti. Quello che canta è un Marco Mengoni cresciuto e in continua ricerca di sé.
Oltre ogni confine: Atlantico
Atlantico è un manifesto all’unione tra nazioni, alla ricchezza e alla varietà che il mondo può offrire. Questo progetto ha portato Marco Mengoni in giro per l’Italia per un anno, cantando nei palazzetti più importanti con l’Atlantico tour e nelle località più esclusive e affascinanti d’Italia durante l’estate. Ogni concerto è stato realizzato nel pieno rispetto dell’ambiente, che molto spesso viene trascurato in occasioni simili.
Marco ha ottenuto 50 dischi di platino e fa quello che ama senza inibizioni. Sceglie l’intimismo per raccontare le sue emozioni ma non ha paura di conquistare il palco durante i suoi concerti. Si definisce “un trentenne felice di essere instabile e fluido in amore“: ha affrontato cadute e pregiudizi, ma ne ha fatto tesoro per essere libero nella sua musica.
La mia generazione è più aperta in tutti i sensi e mi dispiace per le persone che ci governano non si aprano alla natura. Io sono un 30enne antico, ma anche oltre, avanti anni luce. Sono aperto a tutto, sarò l’ultimo naif ma non vedo barriere, confini, per me la Terra non è di nessuno. Non contemplo paletti e muri, non mi accorgo della tonalità della carnagione o della scelta di amare un uomo o una donna. […] L’unico consiglio che do ai ragazzi come me è: vivete.