Il Covid-19 può essere una conseguenza dei cambiamenti climatici?

La diffusione globale del Covid-19, o più comunemente Coronavirus, ha sollevato dubbi e domande tra gli esperti della comunità scientifica. La domanda più rilevante di questi giorni è sicuramente se esista una vera correlazione tra il virus e i cambiamenti climatici e se questi possono essere una causa della diffusione della malattia.

Per quanto riguarda la prima questione, si può affermare con certezza che la diffusione del virus e le conseguenti misure restrittive per contenerlo hanno visto ridurre la produzione nei settori industriali principali e quindi anche la riduzione delle emissioni di anidride carbonica (CO2) e altri gas serra che contribuiscono ai cambiamenti climatici, inquinamento e riscaldamento globale. L’aria si sta ripulendo e gli animali stanno tornando, come i delfini nel porto di Cagliari o i pesci nelle acque non più sporche di Venezia.

Domanda di più difficile risposta è invece se esista la possibilità che i cambiamenti climatici siano una delle cause della diffusione del virus. Gli studiosi si stanno infatti ancora confrontando e stanno prendendo in considerazione basi e dati molto importanti riguardanti la relazione tra Covid-19 e cambiamenti climatici, per poi raccoglierli in una Position Paper.

L’inquinamento come primo campanello d’allarme:

Come primo dato, gli scienziati e i climatologi hanno notato il fatto che l’epidemia sia iniziata proprio in Cina, uno degli stati più inquinati del mondo, e che poi si sia propagata fino ad arrivare in Italia, iniziando dalla Pianura Padana, l’area più inquinata d’Europa.

Non è una novità che l‘inquinamento e la presenza di polveri sottili nell’aria sia uno dei fattori scatenanti di molte malattie respiratorie e cardiocircolatorie, proprio come lo è il Covid-19. Infatti, solo in Italia sono circa 75 mila i morti per malattie portate dall’inquinamento ogni anno e l’aria, al contrario di come si potrebbe pensare, è pressoché irrespirabile.

Inoltre, la European Public Health (EPHA) ha dichiarato esplicitamente e con fermezza che le aree maggiormente inquinate sono una delle principali cause della diffusione del Coronavirus e che è certo che abbia colpito di più le persone che soffrono di problemi di salute legati all’aria inquinata che respirano, come tumori, patologie al cuore, diabete o problemi respiratori, oltre che diffondersi con molta facilità a causa della grande densità di popolazione che porta a contatti sociali frequenti.

Anche il professor Alessandro Miani, presidente della Società Italiana di Medicina Ambientale, ha affermato che molte delle ricerche scientifiche precedenti scrivono che le polveri inquinanti presenti nell’aria hanno già trasportato virus come l’ebola che è poi diventata un’epidemia, e che è quindi molto probabile che il Coronavirus sia stato favorito allo stesso modo dall’inquinamento. Inoltre, i dati scientifici sembrano confermare quest’ipotesi: nelle aree maggiormente inquinate, come la Pianura Padana, in un certo momento si sono registrate curve anomale di accelerazione nella diffusione del virus.

Alessandro Miani informa anche che si sta studiando se può esistere un substrato atmosferico creato dall’umidità e dalle polveri sottili che permetterebbe al virus di sopravvivere alcune ore e quindi di contagiare le persone per via aerea.

La perdita di habitat e l’allarme del WWF:

L’inquinamento sembrerebbe non essere l’unico fattore legato ai cambiamenti climatici che potrebbe aver favorito la diffusione del virus.

È certo che il cambiamento climatico e conseguentemente il riscaldamento globale, fa da incubatore per certe specie di zanzare e di insetti che possono trasmettere malattie e che per le alte temperature e per gli alti tassi di umidità, si stanno riproducendo molto velocemente.

Inoltre, gli scienziati sono arrivati alla conclusione che quasi tutte le recenti epidemie, come Ebola e Sars, sono legate a malattie trasmesse all’uomo dagli animali, a causa sicuramente dell’azione dell’uomo sulla natura.

Infatti, la deforestazione, i cambiamenti dell’uso del suolo che hanno danneggiato la biodiversità e la varietà della fauna, l’uso degli allevamenti intensivi che rilasciano enormi quantità di gas serra e tanti altri fattori a danno del suolo e della natura, hanno fatto sì che gli animali, come i pipistrelli, si spostassero dal loro habitat naturale che era stato precedentemente distrutto e si avvicinassero all’uomo, stanziandosi ai margini delle città.

È molto probabile quindi che il Coronavirus abbia fatto un salto di specie dal pipistrello e si sia diffuso tramite la caccia di alcune specie animali e il commercio illegale: una delle ipotesi che gli scienziati stanno verificando è proprio quella secondo cui il Coronavirus si sia diffuso in Cina tramite la vendita del pangolino (una specie animale pregiata simile al formichiere) che ha fatto da intermediario tra il pipistrello e l’uomo.

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Un report scritto recentemente dal WWF ha poi confermato che la perdita degli habitat naturali provocata dall’uomo ha certamente creato condizioni favorevoli per la diffusione di nuove malattie e virus:

Le foreste sono il nostro antivirus. La loro distruzione può quindi esporre l’uomo a nuove forme di contatto con microbi e con specie selvatiche che li ospitano. Nelle foreste incontaminate dell’Africa occidentale, ad esempio, vivono pipistrelli portatori del virus dell’Ebola. Il cambiamento di uso del territorio come le strade di accesso alla foresta, l’espansione di territori di caccia e la raccolta di carne di animali selvatici, hanno portato la popolazione umana a un contatto più stretto con nuovi virus, favorendo l’insorgenza di nuove epidemie.

Gli avvertimenti dell’OMS e del Lancet Countdown:

La comunità scientifica sta considerando un altro dato molto importante: il rapporto del 2007 scritto dall’Organizzazione Mondiale di Sanità. L’OMS aveva infatti avvertito gli studiosi che il rischio di epidemie virali stava crescendo a causa dei cambiamenti climatici, degli ecosistemi e quindi dell’alterazione dell’equilibrio tra uomo e microbi.

Anche il Lancet Countdown è della stessa opinione: il gruppo di 120 ricercatori provenienti da 35 istituti scientifici di tutto il mondo, università, agenzie di ricerca dell’ONU e dell’OMS, dal 2015 controlla la temperatura del nostro pianeta e ogni anno pubblica un report contenente 41 indicatori delle conseguenze dei cambiamenti climatici sulla salute umana. Il Lancet Countdown report del 2019 evidenzia infatti come con i cambiamenti climatici e il riscaldamento globale, il proliferarsi e il diffondersi rapidamente di virus, batteri, funghi, parassiti e nuove patologie sia assolutamente inevitabile ed è per questo che il nuovo Coronavirus abbia verosimilmente trovato le condizioni ideali per esplodere, ma gli esperti si stanno ancora confrontando su questo.

Tra tutte queste probabilità e ipotesi che stanno cercando una conferma definitiva, un fatto è però certo: più l’azione umana diventa preponderante agli equilibri naturali, più i cambiamenti climatici e il riscaldamento globale aumenta, più la nostra salute è in grave pericolo.

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