Il graffitismo, conosciuto anche come writing, è riconosciuto come una manifestazione sociale e culturale fondata sull’espressione artistica attraverso interventi sull’area urbana. La visione rispetto a questo fenomeno è spesso divisa: alcuni lo ritengono un abbellimento ed una forma d’arte, mentre da altri viene considerato un atto di vandalismo, che contrasta le norme vigenti. A causa dell’illegalità dell’atto moltissimi writer agiscono sotto uno pseudonimo: tra i più famosi si ricorda il celebre Banksy. Spesso i loro interventi sul territorio hanno dei significati profondi, legati all’attualità, alla politica, all’espressione di sé stessi e del proprio pensiero. Anche il mondo della moda conosce bene questo fenomeno: spesso è strumentalizzato per le campagne di guerrilla marketing, ma ne è stato anche “vittima”. infatti Kidult è ormai considerato il “vandalo della moda” a causa dei suoi interventi indirizzati a specifiche case di moda.
Si è fatto conoscere attraverso i suoi giganteschi tag, ossia la “firma” di un artista che lo contraddistingue in maniera in
Ha dichiarato guerra ai brand per difendere la sua visione della street art, per riappropriarsene e restituirla alla libertà:
Gli estintori, vernici e bombolette spray sono le mie armi di distruzione di massa. Potrebbero avere tutti i soldi del mondo; non vinceranno mai nelle strade perché noi siamo le strade!
Kidult agisce con un estintore carico di vernice, lo strumento perfetto per attaccare in modo sovversivo e selvaggio contro le vetrine delle boutique d’alta moda; vuole scioccare e interrogare il pubblico attraverso quella che da lui viene definita una “dittatura visiva”.
Il primo attacco risale al 2011, quando nel mirino di Kidult finisce JC/DC, l’omonimo marchio di Jean-Charles de Castelbajac. A seguito del suo attacco, il brand ha annunciato ironicamente su Facebook che avrebbe preferito dei tag fatti con il gesso. JC/DC ha subito compreso come poter trarne vantaggio, facendo credere che l’attacco fosse orchestrato, pubblicando una fotografia dell’estintore abbandonato in un bidone della spazzatura vicino al negozio.
È stato poi il turno di Colette: mesi dopo aver imbrattato le vetrine della boutique, ha distribuito gratuitamente ai passanti delle magliette raffiguranti il suo attacco, in modo da rivendicarlo; voleva dimostrare che la street art deve rimanere gratuita, libera da ogni sfruttamento economico. La risposta dal brand Colette fu fredda, definendo il tag una “cosa rosa orribile”.
A seguito dei suoi primi due interventi, Kidult ha diviso il pubblico: alcuni brand, come Agnès B, vittima di ben due atti va
La sua non è una rivendicazione legata solo al mondo del writing, ma a tutta la street culture; Kidult non poteva che colpire Supreme, nata nel 1994 come marca d’abbigliamento per skater e che ad oggi è un brand di streetwear di lusso.
A Supreme piacciono la strada ed i graffiti? Li ho sottoposti ad un test. I graffiti e cultura di strada sono tolti dal loro contesto. Oggi, questi marchi rendono lussuoso, superficiale e inutile il mondo street. Tentano di intellettualizzare la pratica eliminando la sua essenza grezza.
Lo scontro più rilevante e duraturo è stato quello con Marc Jacobs: ha avuto origine nel 2012, quando Kidult ha vandalizzato la vetrina dello store di SoHo, a New York, con la parola “ART”. Il riferimento era al video Fashion Killa di A$AP Rocky e Rihanna, in cui viene citato lo stesso Kidult. In risposta Marc Jacobs ha realizzato delle magliette con la frase “Art by Art by Jacob $”, vendendole a 686 dollari l’una. Kidult, assecondando il suo gioco, ha disegnato delle t-shirt simili, messe online a 6,86 dollari. Ancora una volta Marc Jacobs riprende la parola, postando una fotografia del suo team, accompagnata dalla caption “Celebrating @therealkidult in #Paris tonight. Our hats off to you.”; infatti ognuno di loro indossava un cappellino con un 686 stampato.
Il tag più recente risale all’anno scorso, ai danni dello store parigino di Balenciaga: l’attacco è stato accompagnato da un post sul profilo ufficiale del vandalo, in cui augura lucidità e umanità. La sua lotta contro la strumentalizzazione a fini commerciali della street art dura da quasi dieci anni; tantissime sono le case di moda colpite: non rimane che chiedersi quale sarà la prossima.
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