Una stirpe di donne legate da un destino sfortunato, dalla condanna all’emarginazione, ma anche dalla forza di spirito e dalla potenza di un sapere tramandato per secoli. È questo il cuore del romanzo L’eredità delle dee, opera della scrittrice ceca Kateřina Tučková, edito da Keller nel 2017.
Le vicende si snodano sullo sfondo del suggestivo paesaggio dei Carpazi bianchi, che segnano in diversi punti il confine tra le attuali Repubblica Ceca e Slovacchia. Queste terre, tanto nella finzione quanto nella realtà, sin da tempi antichissimi sono state caratterizzate dalla presenza di alcune donne definite “dee”. Secondo la tradizione, le dee erano depositarie di un sapere primordiale, legato alle forze della natura e ai metodi per domarla, basato sulla conoscenza dell’ambiente circostante e delle piante che ne caratterizzano il paesaggio. Grazie alle proprie capacità e alle proprie misteriose conoscenze, si riteneva che le dee fossero in grado di effettuare vari di tipi di trattamenti, di curare alcune malattie e persino di predire il futuro. Alla luce di tutto ciò, non è sorprendente il fatto che queste donne siano state nei secoli vittime di numerose discriminazioni e persino persecuzioni.
Dora, protagonista del romanzo di Tučková, è l’ultima discendente di questa stirpe secolare e decide di ripercorrere all’indietro la storia della propria famiglia, per dare un nuovo significato alla propria esistenza ma soprattutto per riabilitare queste donne da troppo tempo perseguitate.
La scrittrice ci mostra le vicende della vita di Dora sin dalla sua infanzia, esattamente dal momento che ne segnò la svolta: la scoperta, assieme al fratello e alla zia, della morte della madre, barbaramente uccisa dal marito alcolizzato. Questo tragico evento, primo segnale della violenza misogina denunciata da Tučková, dà così il via alla storia di Dora. Rimasti orfani, lei e il fratello si traferiscono dalla zia Surmena, una delle più rinomate dee del villaggio.
Osservando l’operato della zia, la piccola Dora si avvicina così al mondo delle dee e inizia, a partire dall’ambiente scolastico che frequenta, a subire la diffidenza e l’emarginazione provocate dall’appartenenza a quella misteriosa progenie. È forse questo il motivo per cui Dora, crescendo, diventa sempre più scettica riguardo all’attività di sua zia, e desidera intensamente allontanarsi da quella tradizione retrograda. Ma il suo desiderio, purtroppo, verrà esaudito in modo del tutto inaspettato: poco tempo dopo Surmena viene accusata di aver aiutato una donna ad abortire, e per questo la famiglia viene separata.
Da quel momento in poi, Dora impara a osservare con occhi diversi la propria storia, sino a fare della propria indagine sul passato una vera e propria missione di vita. La giovane protagonista, infatti, si dedica agli studi etnologici e decide di dedicare la propria tesi di laurea alle dee di Žìtková, il suo villaggio d’origine.
Tučková si mostra qui capace di alternare registri e stili molto differenti: ripercorrendo le ricerche accademiche di Dora e le sue frequenti visite agli archivi, il romanzo si trasforma a tratti in una sorta di giallo, intervallando alla narrazione effettiva persino la lettura di documenti ufficiali – dalle sentenze medievali ai resoconti delle spie sovietiche.
Pian piano, quindi, il lettore viene a conoscenza delle persecuzioni a cui le dee sono state sottoposte, dai tempi dell’inquisizione a quelli dei regimi totalitari. Parallelamente, poi, emerge anche la personalità nascosta della protagonista: le sue terribili esperienze al collegio, dopo la separazione dalla zia, la solitudine sopportata per anni, e il segreto portato con vergogna della propria omosessualità.
Il romanzo di Tučková, insomma, sembra delinearsi come il racconto degli innumerevoli soprusi subiti dalle donne di tutti i tempi: l’autrice, in effetti, sembra particolarmente sensibile ad alcuni sottili dettagli che non manca di sottolineare nella sua narrazione. Molti dei personaggi maschili ritratti da Tučková, oltre a rivestire inevitabilmente un ruolo marginale, fanno mostra della propria arroganza, si pongono nei confronti delle donne con atteggiamenti minacciosi, rivelano un egocentrismo che spesso li porta a ignorare i bisogni – anche sessuali – delle donne che hanno accanto.
Ecco, quindi, ciò che forse le autorità e le persone comuni temevano a proposito delle dee di Žitková: con la loro irrefrenabile femminilità, queste donne non potevano essere completamente sottomesse a un qualsivoglia sistema ideologico o religioso. Oltre a conservare il patrimonio di un antico sapere legato alle forze naturali, esse rappresentano anche la forza prorompente della solidarietà femminile, capace di distruggere qualsiasi catena. È proprio la solidarietà mostrata da Dora, la quale, pur mantenendo uno sguardo razionale e scientifico sulle pratiche magiche delle dee, comprende l’importanza di preservarne la diversità.
Per questo motivo, non è importante soffermarsi sulla questione dell’effettiva veridicità delle attività praticate dalle dee. Poco importa se le conoscenze quasi pagane di tali donne fossero veramente in grado di guarire dalle malattie o di ottenere altri magici risultati. Come spiega una delle tante sagge anziane del villaggio di Žitková, è la fede stessa in qualcosa a renderla così potente:
Se credi a qualcosa e ci crede la gente che hai intorno, se già sulla strada, che tu lo voglia o no. […] La fede degli uomini, la fede in qualunque cosa, ha un potere enorme!
E questa regola è vera, nel bene quanto nel male: se la fede in qualcosa può riuscire a darci forza, a unire intere comunità, è proprio l’adesione cieca a schematismi e ideologie a rivelarsi come la vera maledizione, capace di generare infinite divisioni e violenze.
FONTI:
K. Tučková, L’eredità delle dee, Keller, 2017