In questo periodo, in cui il Coronavirus ha ovviamente preso il sopravvento sui media, è bene non dimenticarsi però anche di altri problemi. Uno di questi è il ricatto della Turchia verso l’Unione Europea sulla questione dei migranti in fuga dal conflitto siriano (nel quale la Turchia stessa è direttamente coinvolta).
Il più grande timore delle nazioni europee è quello che si sia sul punto di ripetere ciò che era avvenuto nel 2015. Quell’anno la cancelliera
A oggi, sembra che nessuno voglia più imitare la Germania e anzi che alcuni ammirino la reazione della Grecia che difende i confini europei. Infatti, presso la frontiera greco-turca si trovano ora circa 13.000 siriani fuggiti dal conflitto nella loro patria e non più benvoluti dalla Turchia. Le immagini mostrano trattamenti che violano i diritti umani, o perlomeno la dignità umana, e finanche colpi sparati dalle autorità greche contro i siriani. I trattamenti più favorevoli includono invece gas lacrimogeni e cannoni ad acqua per rispondere al (disperato) lancio di pietre di alcuni siriani.
A livello diplomatico si assiste invece a una scenetta tragicomica tra le due parti (Grecia e Turchia) con l’Unione Europea sullo sfondo. Il presidente turco Erdogan, celebre democratico, rinfaccia ai greci di riservare un trattamento nazista ai migranti alla frontiera, invece di accoglierli a braccia aperte. Egli dimentica forse che è il suo governo ad aver impegnato la Turchia nella guerra civile siriana, in territorio siriano, per portare avanti un’agenda politica.
Proteggere i confini europei is the new black!
Ovviamente, l’apprezzamento per la reazione greca non poteva arrivare che da due campioni della solidarietà: il cancelliere austriaco Kurz e il collega ungherese Orban. Infatti, le loro nazioni si trovano esposte rispetto al cosiddetto “Corridoio Balcanico”, così come lo sarebbero Bulgaria, l’ex-Iugoslavia, la Repubblica Ceca e la Slovacchia. Dopo gli eventi del 2015-2016 sono tutti prontissimi e fremono per chiudere le frontiere e alzare i muri contro chi arriva.
Nonostante tutte le buone parole, anche l’Europa non disdegna l’uso delle maniere forti come risulta dalle dichiarazioni della Von Der Layen. La presidente della Commissione Europea ha infatti ringraziato la Grecia per fare da scudo all’Europa e ha annunciato un pacchetto d’aiuti di 700 milioni di euro. Inoltre, l’agenzia europea dei confini Frontex ha richiesto un intervento immediato a favore della Grecia. La motivazione è che “un gran numero di cittadini non-UE stanno cercando di varcarne i confini illegalmente”.
Da parte sua, il governo greco afferma di non respingere nessuno a prescindere ma di voler agire secondo vie regolari. Usando le parole del portaparola greco Stelios “dovrebbero venire a bussare alla porta anziché tentare di entrare dalla finestra”. Tuttavia, il governo Mitsotakis ha messo sul tavolo anche la possibilità di sospensione del diritto d’asilo, idea immediatamente rigettata dall’ONU che l’ha definita impraticabile.
Una proposta interessante e meno drastica arriva dal commissario europeo per gli Affari Interni, la svedese Ylva Johansson. La sua proposta è quella di offrire 2000 euro ai migranti che aderiranno al programma di rimpatrio volontario. Così, a parere del commissario, i migranti economici saranno più propensi ad accettare vista anche la cifra sul tavolo, cinque volte più alta di quella normale. Invece, i rifugiati, che non fuggono per questioni economiche, rimarrebbero in attesa del loro permesso.
Gli accordi euro-turchi
Dal 2016, durante la crisi migratoria, l’Europa ha compiuto la scelta (discutibile) di mettersi nelle mani di Erdogan e della Turchia. Per risolvere il problema è stato promesso alla Turchia un sostanzioso bottino di parecchi miliardi di euro. In questo modo l’Europa non avrebbe dovuto nemmeno giustificarsi per il trattamento dei migranti che sarebbe ricaduto invece sulla Turchia.
Il patto prevedeva che dal 20 marzo tutti gli irregolari giunti sulle isole greche sarebbero stati rispediti in Turchia. La misura era teoricamente temporanea e atta a ripristinare l’ordine pubblico; inoltre, ogni espulsione sarebbe stata singolarmente vagliata. Tutte queste precauzioni avevano lo scopo di evitare un accordo in violazione dei diritti umani che prevedesse delle espulsioni di massa e deportazioni. Il punto che però aveva lo scopo di convincere Erdogan era sicuramente la clausola da tre miliardi di euro di aiuti.
Infine, il punto nove prevedeva che Europa e Turchia si muovessero per migliorare la situazione in Siria, specialmente in alcune aree del confine turco-siriano. Quattro anni dopo il trattato, l’esercito turco è in Siria e combatte contro le truppe di al-Asad e gruppi “ribelli”.
Proprio nei primi giorni di marzo 2020, Erdogan si è recato a Bruxelles per rivedere l’accordo insieme alle massime cariche dell’Unione. Insoddisfatto, ha lasciato la capitale belga senza nulla di fatto, se noni contiamo la minaccia di aprire completamente le proprie frontiere. Minaccia che, unita al’emergenza del coronavirus, probabilmente metterebbe in ginocchio politicamente ed economicamente l’Unione Europea.
Per l’Europa, l’accordo del 2016 rimane valido, ma questo ha ben poca rilevanza. Erdogan e la Turchia fanno parte della NATO e hanno sul loro suolo circa tre milioni e mezzo di rifugiati siriani, il che dà loro un certo vantaggio negoziale.
La Turchia in Siria
Come già detto, la Turchia si trova coinvolta nel conflitto siriano e punta sulla minaccia migratoria per ottenere sostegno da NATO e UE. Si tratta però di un gioco molto cinico che mette a rischio vite umane in situazione di estrema sofferenza e difficoltà.
Il conflitto, parte della quasi decennale guerra civile siriana, vede ormai interessata solo l’area nord-occidentale della Siria. La provincia più colpita è infatti quella di Idlib, ritenuta strategica dal governo siriano per la presenza di un’autostrada ma anche per la vicinanza al confine turco. La Turchia invece teme l’arrivo di altri milioni migranti ma continua ad accoglierli al fine di evitare la nascita di uno Stato curdo autonomo. Paura che aveva già spinto la Turchia a fare pressione sugli Usa affinché ritirassero il loro appoggio ai ribelli curdi, pressioni in linea con gli interessi dell’amministrazione Trump.
Per non rendere la questione più semplice, nella zona di Idlib ci sono ancora gruppi terroristici, alcuni affiliati allo Stato Islamico. Inoltre, il governo di Damasco ha l’appoggio della Russia e dell’Iran ma è avversato appunto dalla Turchia. In questo intrico di alleanze e inimicizie dobbiamo collocare buona parte dei rifugiati che ora si trovano nei pressi del confine turco-greco, che vengono erroneamente considerati migranti economici.
Gli attacchi ai centri d’accoglienza
Negli ultimi giorni, la clinica pediatrica di Medici Senza Frontiere è stata chiusa per motivi di sicurezza. Allo stesso modo, un magazzino di Chio, dove le ONG si riforniscono, è stato incendiato, molto probabilmente da cittadini greci. Anche i giornalisti sono nel mirino come dimostra il lancio di pietre contro l’auto dei due reporter Franziska Grillmeier e Julian Busch.
La situazione si fa sempre più paradossale anche sull’isola di Moria, dove risiedono moltissimi richiedenti asilo, circa 20.000. Sull’isola è giunto Mario Muller, a capo del movimento identitario tedesco “Lambda”, per una manifestazione contro i migranti.
Tutto questo avviene in una società che noi definiamo civile e democratica. Una società dove chi ancora accoglie deve giustificarsi dinnanzi all’opinione pubblica e mostrare che non stia “accogliendo troppo”. Una politica in cui perfino i moderati e le sinistre devono avere una linea dura sull’immigrazione per non farsi soppiantare dalle destre più estreme.
Ciò che più sconvolge è che tutto ciò è viene spesso giustificato con la difesa dei valori cristiani e di una tradizione europea (giudaico)-cristiana. La stessa tradizione in base alla quale Gesù “nacque in una stalla perché per loro non c’era posto nell’albergo”, rifiutato da tutti.
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