Psicopatologia del centrista medio

No one’s standard of living will change.

Sono parole recenti di Joe Biden, ex vice di Obama e futuro candidato democratico alle elezioni presidenziali americane di fine anno.

In cosa consiste questo “stile di vita” da difendere a tutti i costi, da non spostare di un millimetro? È davvero così necessario che resti fermo così com’è?

Esiste un motto nel mondo del business contemporaneo, in particolare legato alle nuove tecnologie di elaborazione dati e intelligenza artificiale, che suona pressappoco così: “pensare in forma esponenziale, non lineare”. Ciò che oggi è 5, domani non sarà 6, ma 25. Questo è valido tanto per la capienza energetico-informazionale dei nostri processori, quanto per gli andamenti di mercato  significativamente legati alle più recenti innovazioni tecnologiche, dalla mitologica blockchain al già familiarissimo machine learning.

A espressione di questa prometeica tendenza finanziaria all’esponenziale, a discapito degli addendi, è stata elaborata da Ray Kurzweil la cosiddetta “legge dei ritorni accelerati”: il tasso di miglioramento della tecnologia è proporzionale a quanto la tecnologia è funzionale (migliore la tecnologia, maggiore la sua crescita).

Insomma, spingendo sull’acceleratore dell’ottimizzazione delle tecnologie (o, come potremmo facilmente derivare, delle relative strategie di mercato) che risultino particolarmente innovative, il profitto che saremmo capaci di trarre da questi sforzi non sarà paziente e cumulativo, ma frenetico e istantaneo. Pensiamo al successo repentino, pervasivo e miliardario che una startup di oggi può procurarsi con poche mosse azzeccate. Oppure pensiamo al prezzo di immagazzinamento di un terabyte di dati, che nel 2000 ammontava a 17.000$, oggi pressappoco a 3$, e in un recente futuro a pochi centesimi.

Cosa significa tutto questo per lo standard of living del mondo occidentale?

Nulla o quasi nulla per chi, come la maggior parte di noi, vive ancora nella preistoria digitale. Abbiamo imparato a fare la spesa online, a pagare alla cassa con lo smartphone, a farci spedire in pochi click un televisore direttamente a casa nostra, a videochiamarci da un tropico all’altro. Ma il tempo che ci mettiamo per fare la spesa è più o meno lo stesso, i film che vediamo sono più o meno gli stessi e di soldi, in tasca, ce ne entrano gli stessi di prima, che tuttalpiù spendiamo più velocemente.

L’esponenzialità significa invece molto per chi, come le upper middle classes più recenti, si è trovato a fatturare una fortuna considerevole senza scavare pozze di petrolio in giardino e senza sfruttare manovali dal Terzo Mondo (almeno non direttamente, ma in maniera più impunita). La distribuzione della ricchezza, già virtualizzata dall’economia di mercato finanziaria, si è ora digitalizzata, in piena coerenza con un mondo globalizzato.

Non possiamo comprendere lo stile di vita del “ricco” contemporaneo – con la parziale eccezione del fortunato ereditiere o del ricco di vecchia data – se non capendo che il suo comportamento ap-profittatore si basa su una logica dell’esponenziale, dei grafici vertiginosi e degli scoppi istantanei. Il capitalismo contemporaneo, noto in una certa letteratura come “tardo capitalismo”, ma in maniera più attuale come “platform capitalism”, è il risultato strutturale globale di linee di fuga digitali, impazzite, schizofreniche che si agitano come le particelle di Boltzmann da una parte all’altra del Sistema-mondo, del simbolico inerente alle strutture biologiche della nostra società con i suoi compartecipanti.

Schizzi divergenti per natura ed egoisti per specie che si trasmettono da un nodo all’altro della cybersfera globale, minacciando ed attaccando perpetuamente le strutture, i costrutti e le istituzioni antropiche, o comunque pre-digito-capitalistiche.

La portata distruttiva di questo anarco-digitalismo dei mercati contemporanei è quindi intrinseca alle sue logiche essenziali.

Cosa significa questo passaggio all’esponenziale per quello “stile di vita” capitalistico già esistente, che Biden promette di difendere?

Una sgradita accelerazione, un minaccioso incattivimento del libertario ai danni non solo del pubblico, non solo del privato, ma persino della stessa Natura. Siamo in un periodo della storia dell’umano in cui questo modo di pensare non è sostenibile, non è prospettabile. Le nuove forme del tardo capitalismo sono appunto nuove configurazioni di un modello di produzione e distribuzione, di uno stile di vita già esistente, un modello politico-economico che ha riconosciuto i suoi paladini e fautori già nella seconda metà del secolo scorso.

Da cinquant’anni mangiamo i suoi frutti, assistiamo al degradamento dei diritti umani e sociali a vantaggio di un plusvalore primo rispetto a tutto. Alla politica, alla morale condivisa, ai principi di altruismo e pietà, al risanamento del gap tra metropoli e periferie antropologiche, che in questi anni di eccezionale disuguaglianza economica risulta ancora più allargato.

centrista

Difendere questo sistema significa, per Biden, dare un’ulteriore spinta al mondo verso il collasso. Distruzione della biosfera, migrazioni climatiche scaturenti in guerre, sparizione del diritto alla personalità e all’umanità. Ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri. Biden, con il suo sfacciato centrismo, rappresenta la natura di tutti coloro che si definiscono moderati, addirittura progressisti, ma che vogliono semplicemente che questo capitalismo infame resti così, tuttalpiù leggermente riformato, perché a loro non va poi tanto male, “a casa tutto bene”.

Ma al tardo capitalismo non servono una sfoltita di capelli o una tagliata di unghie: esso va penetrato, dissezionato e denaturato, compreso e poi sostituito con un sistema migliore. Non si tratta della vana speranza marxiana che il capitalismo collasserà per via delle sue incoerenze, ma di un’agguerrita analisi di un sistema che se non fermato crescerà ulteriormente e ci condurrà alla fine dell’umanità, una fine almeno spirituale per noi, ma sicuramente materiale per gli altri organismi viventi e l’ecologia naturale.

Ci viene spontaneo allora chiederci: cosa frullerà mai nella testa di chi si augura che ciò accada, che questo pensiero “moderato” si affermi ulteriormente?

Se cercassimo una risposta nel conscio e nel preconscio degli individui, troveremmo ben poco. Nemmeno loro lo sanno, nemmeno loro sanno rispondere, pur rimanendo convinti e inamovibili rispetto a tutti gli slogan secondo cui il mondo è complesso e immodificabile, e va tutto bene ciò che non ci turba troppo. Nelle menti coscienti, niente di interessante, se non qualche motto e delle manifestazioni di egoismo impolitico e inumano. Sia dal punto di vista filosofico che da quello scientifico, si tratta di interrogare l’inconscio, le forze libidinali nascoste del centrista medio. Ci prestiamo quindi ad una breve e dilettantistica psicoanalisi dell’elettore e dell’eletto centrista.

Come abbiamo detto, la tendenza dei ricchi, dei benestanti o della classe media che “non si può lamentare” a votare per l’establishment non è semplicemente ricondotta alla scelta cosciente, che fa dire “voterò chi farà i miei interessi, in questo caso per chi conserverà il sistema che mi ha reso ricco“. Lo stesso vale per i poveri. Nonostante possa sembrare il contrario, in essi non prevale la voce cosciente che dice “voterò per chi farà i miei interessi, in questo caso per chi capovolgerà il sistema che mi ha reso povero“.

Deleuze e Guattari ne L’Anti-Edipo (1972) ci hanno insegnato che a fare la differenza, nei comportamenti politico-sociali non sono tanto gli interessi, oggetti mentali che sono coscienti o subconsci, ma i desideri, oggetti, stando a Freud, radicalmente inconsci.

La logica cosciente dell’interesse dà la sensazione di vedere nella natura umana una ragione che supera la volontà. Ma nella vita umana il volontario ha la priorità sul ragionevole, ed è un volontario inconscio, libidinale.

La volontà fa vivere al ricco diverse esperienze.

Un esempio:

desidero deresponsabilizzarmi, giacché il sistema è complesso e non lo capisco, però mi fa stare bene, e quindi voterò per chi dà l’idea di saper gestire quella complessità.

Il desiderio è, come si nota, più complesso e sfaccettato dell’interesse, più dettagliato nella determinazione del suo oggetto e più oscuro nella determinazione della sua radice. Il benestante non desidera tanto che si faccia ciò che conviene a me, ma ciò che conviene in generale affinché il sistema si conservi.

Un altro esempio: 

desidero la tranquillità, giacché voglio rimanere nella mia tranquillità e non voglio qualcuno che dia veramente l’idea di cambiare le cose, che a me e ai miei amici stanno bene così. Voglio quindi un conservatore, un riformista, un liberale che non metta troppi paletti intorno alla mia corsa al plusvalore.

Notiamo che l’egoismo che caratterizza i ricchi intrinsecamente, che ha permesso loro di diventare ricchi alle condizioni in cui questa società lo permette, non impedisce loro di non sentire un’appartenenza di classe.

Anche qui intervengono Deleuze e Guattari: la classe è una negazione delle caste, della subordinazione, e in quanto tale è un’organizzazione immanente, non imposta da un alto trascendente (come invece in certe fasi della storia di Roma antica e del Medioevo si imponeva ai figli di “restare” nelle caste dei padri, di “rimanere” genealogicamente falegnami, bancari, soldati, etc.).

La naturale socievolezza dell’umano è sempre anteriore all’egoismo, e “socievolezza” significa innanzitutto condividere desideri, non condividere interessi. In un articolo di Christopher Ryan per Wired dal titolo Why are rich people so mean?, l’autore riporta gli esiti di un progetto di ricerca condotto nel National Institute of Neurological Disorders and Stroke degli Stati Uniti, in cui l’utilizzo di un particolare di tipo di risonanza magnetica ha dimostrato che l’altruismo è profondamente incorporato nella natura umana.

La soddisfazione che le persone traggono da un comportamento altruistico sarebbe infatti simile a quella associata al cibo e al sesso. “Rifiutare sincere richieste di aiuto non viene naturale alla nostra specie“, commenta Ryan.

L’interessantissimo articolo del giornalista americano mostra, dati alla mano, come il bovarismo, la coappartenenza, la familiarità con la persona che ci è vicino porti a trarre una soddisfazione che non potrà mai essere compensata dal radicale egoismo. È per questo che, come dicevamo, si desidera sempre “in generale” e mai solo “per sé”, per la propria classe di appartenenza, e mai per il mio solitario beneficio. Una società in cui io fossi l’unico privilegiato in mezzo a sette miliardi di sconfitti non sarebbe una società felice né per me nè per gli altri.

Sarebbe per me impossibile avere degli amici e ricondurmi in un nucleo di coappartenenza. Infatti, come dimostra Ryan, il senso di autoconservazione che porta un “superiore” a non frequentare gli “inferiori” (vivere in luoghi diversi, dosare la concessione di attenzioni, “guardare dall’alto in basso”, limitare la confidenza, etc.) è qualcosa di connaturato in questi tipi di gerarchia sociale. Nel nostro linguaggio diremmo che quella che Ryan chiama “Rich Asshole Syndrome” è una condizione inconscia, che nonostante possa essere smentita o semplicemente non pervenire a livello cosciente, comunque risulterà come modello standard in tutte le relazioni di bovarismo tra pari e snobismo verso il basso.

Per questo, potremmo dire che l’insensibilità dell’elettore centrista verso le necessità di chi è portato, per bisogno imprescindibile, a rovesciare un sistema che lo umilia, non sia tanto la goduria di un cinico spettacolo gladiatorio, quanto la somatizzata regola inconscia della diffidenza nei confronti dell’inferiore. Questa osservazione è però ben lontana dal giustificare le penne votanti di chi si ostina a perpetrare un’offesa ai danni degli sconfitti. I desideri di quei singoli egoisti sono ascrivibili a un sistema (che, in quanto tale, produce gerarchie) che permette che una volontà marcia ed asociale diventi norma relazionale. Chiamiamo ancora a testimonianza la voce di Christopher Ryan:

Molti tratti caratteristici degli psicopatici sono celebrati nel business: spietatezza, una conveniente assenza di coscienza sociale, un unico focus al successo.

Lo “stile di vita” che l’elettore di Biden si convince di voler conservare è l’affrancamento da ogni genuinità umana, la prosecuzione di quell’etica psicopatica che sostituisce il profitto e l’egoismo alle ragioni di ogni diritto sociale. Al di qua della distruzione di un sistema sbagliato non si trovano delle risposte “moderate”, vaghe e sfuggenti, ma l’immersione ancora più profonda nell’abisso.


FONTI

G. Deleuze & F. Guattari, L’Anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia, Einaudi, Torino, 2002

C. Ryan, “Why are rich people so mean?”, Wired, 26/09/2019

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.