È possibile, tramite la pratica della dattilografia, recuperare frammenti di ricordi perduti? Laddove il romanzo di debutto di Desy Icardi, L’annusatrice di libri, si incentrava sull’olfatto, il suo secondo libro, La ragazza con la macchina da scrivere (Fazi, 2020), esplora le possibilità della memoria tattile e della scrittura a macchina, intrecciando una storia di vita individuale a pagine della grande Storia italiana.
Torino, 1994: la protagonista del romanzo, Dalia, dattilografa in pensione e titolare di un piccolo negozio di antiquariato, è stata recente dimessa dall’ospedale in seguito a un lieve ictus. Il “piccolo incidente”, come ella si ostina a definirlo, non le ha lasciato gravi strascichi a lungo termine, eccetto un buco di memoria che offusca gli ultimi due mesi della sua vita. La signora Dalia tuttavia non si fa abbattere, anzi è determinata a riempire questo vuoto e risolvere i piccoli misteri connessi al giorno del suo incidente: perché stava indossando il suo abito migliore? Dove si stava recando, vestita di tutto punto, nel bel mezzo della giornata? Perché continua a trovare in casa due anelli per le tende, oggetti apparentemente insignificanti e fuori posto?
I ricordi di Dalia in realtà non sono irrimediabilmente perduti: si nascondono semplicemente dalla memoria visiva per tornare invece allo scoperto nel momento in cui i suoi polpastrelli entrano in contatto con i tasti della sua macchina da scrivere, la fedele Olivetti MP1 rossa che la accompagna sin da quando era ragazza.
Ora accarezzi la tua vecchia macchina da scrivere; un lieve formicolio ti scorre lungo le dita facendoti fremere i polpastrelli. Colta da un improvviso ghiribizzo, accosti gli scuri della finestra, infili un foglio nel carrello dell’Olivetti rossa e, immersa nel buio, lasci che il formicolio ai polpastrelli svanisca al fresco contatto con i tasti. Le tue dita danzano sulla tastiera seguendo una coreografia che sfugge alla tua comprensione ma che decidi di assecondare e, senza opporre resistenza, inizi a scrivere una nuova storia.
Ai capitoli che seguono Dalia negli anni Novanta se ne incrociano altri, ambientati nel Piemonte degli anni Trenta e Quaranta: la storia della gioventù della protagonista, che ella stessa ripercorre battendola parola per parola sulla macchina da scrivere. Dalia, figlia di un padre quantomai severo, un aristocratico decaduto troppo elitario anche per prestare fedeltà al fascismo, lavora come tipografa nella sua cittadina natale.
Una svolta decisiva nella sua vita avverrà grazie all’incontro con lo scrittore di romanzi d’appendice Nuto Cerri, un personaggio sfaccettato e controverso, parzialmente modellato sulla falsariga di Gabriele d’Annunzio. Rapita dal carisma di Nuto, Dalia rompe i rapporti con il padre per sposarlo all’età di soli diciassette anni, ma il marito dimostra sin dai primi giorni di vita coniugale un atteggiamento manipolatore e disonesto. Quando alla vigilia dei primi bombardamenti sulla città di Torino Nuto abbandona il tetto coniugale, Dalia dimostra di essere una giovane donna intraprendente e capace di mantenere la testa alta di fronte a ogni tipo di avversità. Intorno a Dalia gravitano anche altre figure: la migliore amica Ester, il compagno di giochi d’infanzia Gianni, il gentile avvocato bibliofilo Ferro.
Il periodo rievocato da Dalia si estende tra il 1938 e il 1945: sono gli ultimi anni del regime fascista, con l’emanazione delle leggi razziali a danno della comunità ebraica, la progressiva alleanza con la Germania nazista alla vigilia della Seconda guerra mondiale e, soprattutto, la stretta del regime sul controllo dell’industria culturale. Protagonisti di questa ultima fase del regime fascista è il Ministero della Cultura Popolare, al cui vertice si trova Alessandro Pavolini (peraltro menzionato nel romanzo). Mentre le aggressioni squadriste proseguono imperterrite, settori come la stampa e l’editoria vengono pilotati dal regime in maniera sempre più decisa, con l’obiettivo di raggiungere l’ambita coincidenza tra istituzioni culturali e organi di propaganda.
Un ruolo importante all’interno de La ragazza con la macchina da scrivere è svolto, oltre che dalla scrittura a macchina, da diversi tipi di romanzo. Si ritrovano nella narrazione i libri d’azione di Emilio Salgari, pietre miliari della cultura popolare italiana della prima metà del Novecento, ma soprattutto i romanzi d’appendice. Questi ultimi, mutuati dalla tradizione francese del roman-feuilleton, occupavano ancora un ruolo di spicco nell’Italia fascista. I romanzi di Nuto Cerri si incentrano dapprima su tematiche nazionalistiche e patriottiche, sull’onda lunga delle esperienze della Prima guerra mondiale, per poi spostarsi sul genere della paraletteratura rosa — oggi si direbbe “in stile Harmony” — per ragioni principalmente economiche. Tutt’altro tipo di letteratura è quella custodita nella biblioteca personale dell’avvocato Ferro: si tratta della grande letteratura internazionale ottocentesca, compresa quella bandita dalla Commissione per la bonifica libraria, istituita sempre nel 1938.
“Ecco il mio rifugio”, annunciò l’avvocato. La lampada sorretta da Ugo illuminò una cantina dal soffitto a volta rinforzato da puntelli metallici, le cui pareti erano foderate da librerie. “Non è soltanto il mio personale rifugio” disse indicando i libri disposti sui ripiani. “Qui hanno trovato riparo molti stimabili scrittori inglesi, ebrei, russi e tutti quei bravi autori che per un motivo o per l’altro non stanno simpatici al MinCulPop”.
La ragazza con la macchina da scrivere è un romanzo dal sapore tipicamente italiano, che alterna in modo gradevole reminiscenza storica e scene di vita quotidiana, stemperando in un tono ironico anche gli avvenimenti più drammatici. Pur nella sua leggerezza non pecca tuttavia di superficialità, come dimostrano la caratterizzazione della protagonista, i continui riferimenti ad avvenimenti politici e sociali e, soprattutto, la tematica ricorrente dell’amore per la pagina scritta in ogni sua forma.