Chiedete a qualche millennial quale sia la serie tv della sua adolescenza, ed è molto probabile che più di uno vi risponda Veronica Mars. A inizio anni Duemila, il teen drama con Kristen Bell in veste di sedicenne investigatrice privata era seguito da uno dei più solidi gruppi di appassionati. E a giudicare dall’entusiasmo con cui è stato accolto il suo recente ritorno in tv – dal 31 marzo anche in Italia su Premium Crime – lo è ancora. Il fatto curioso però è che Veronica Mars sia riuscita a diventare una serie tv di culto, pur essendo assai diversa da tanti altri popolari show per adolescenti.
Per cominciare, “longevità” è la costante del genere. Da Beverly Hills, 90120 a Dawson’s Creek, da The O.C. a Gossip Girl il peso delle stagioni si aggira quasi sempre attorno ai 100 episodi totali. Al solo pensare di recuperarli – a rivederli non ci si prova nemmeno – lo sconforto assale. Veronica Mars invece no. In confronto la sua fu un’avventura fugace sui teleschermi. Per giunta anche piuttosto travagliata.
Negli Stati Uniti il primo episodio di Veronica Mars andò in onda nel 2004 sul canale UPN (in Italia arrivò con qualche mese di ritardo); poco meno di tre anni, e al pubblico toccò già assistere al gran finale. Solo tre stagioni e una sessantina di episodi durarono le avventure di Veronica, liceale un po’ sfacciata della cittadina immaginaria di Neptune, in California, che allo studio alternava il “ficcare il naso” tra i casi affidati all’agenzia del padre Keith (Enrico Colantoni), investigatore privato. Gli ascolti non furono mai strabilianti e per il suo intero corso la serie fu a rischio cancellazione.
Veronica Mars non fu nemmeno il più puro dei teen drama. Anzi. La componente noir e la struttura da procedurale – con piccoli casi diversi e uno da risolvere lungo l’intera stagione – spiccavano quasi più del racconto adolescenziale. Il quale peraltro non era popolato di teenager dalle vite invidiabili. Bensì da adolescenti, ordinari o ricchi che fossero, con traumi ingombranti con cui convivere.
Quello con cui un po’ tutti avevano a che fare era l’omicidio di Lilly (Amanda Seyfried), la migliore amica di Veronica, del quale lo sceriffo Mars – suo padre, cioè – aveva incolpato un intoccabile, attirandosi facoltose antipatie. Da classica bionda popolare Veronica era diventata classica reietta del liceo. E mentre indagava sul fatto, tentava di elaborare l’ingiusto licenziamento del padre, l’abbandono per vergogna della madre, e pure uno stupro di cui ricordava poco. A condividere con lei un po’ di tormento, tra gli altri, l’amico Wallace (Percy Daggs III), orfano di padre, e soprattutto il ricco Logan (Jason Dohring), che un padre invece lo aveva e contribuiva non poco a rovinargli la vita.
Certo il quadro non era dei più confortanti, ma fu proprio uno degli elementi che fecero la fortuna della serie. O meglio, fu il meccanismo di reazione dei personaggi a fare la differenza. Veronica Mars, aspetto da cheerleader e tempra molesta, oscillava tra due mondi: quello dei privilegiati della città e quello dei sacrificabili per pagare o insabbiare i privilegi dei primi. Veronica Mars si proteggeva con aggressività, cinismo e innumerevoli scosse di taser, e per i problemi più grandi del suo microcosmo liceale poteva contare su una rete di coetanei molto diversi tra loro.
Creandone il personaggio, Rob Thomas (che già aveva lavorato a Dawson’s Creek e successivamente ideò altri due teen drama, 90210 e iZombie) portò in tv una visione nuova dell’identità millennial. Un’identità mossa da rabbia e dal senso di ingiustizia, intenta a smascherare e controbattere alle dinamiche immorali, sessiste, patriarcali e corrotte del mondo adulto; ma nonostante tutto, capace di preservare un minimo di ottimismo.
‘Veronica Mars’ era una serie per adulti con protagonista un’adolescente.
L’attore Enrico Colantoni l’ha descritta così al «New York Times». Questo fu l’altro punto di forza della serie, a cui si appassionarono anche parecchi adulti e critici, ma non come sgarro segreto.
Prima di lei, ci era forse riuscita soltanto Buffy l’ammazzavampiri e a contribuire fu anche la scrittura brillante e scattante. Grazie ai botta e risposta sottili, all’epoca abbastanza rari per un teen drama, gli episodi hanno preservato il loro ritmo e visti oggi sembrano attuali, non annoiano. Anche perché – ultima ragione del suo insolito successo – Veronica Mars era incredibilmente avanti coi tempi.
Quando la serie esordì il mondo stava giusto iniziando a essere sempre interconnesso (Facebook esisteva solo da qualche mese). Eppure Thomas rese la tecnologia e i nuovi problemi digitali parte integrante del racconto. Per risolvere i suoi casi, Veronica si serviva di fotocamere, notebook e soprattutto di uno dei primi smartphone (un modello Sidekick molto richiesto dai fan). Inoltre fino a quel momento poche altre serie si erano occupate ad esempio di cyberbullismo.
Al di fuori del racconto Thomas utilizzò invece la tecnologia per osservare il gradimento dei fan e regolarsi di conseguenza sulla sceneggiatura. Si fosse fermato agli ascolti mediocri, Thomas non avrebbe mai scoperto che su alcune piattaforme web, come Television Without Pity e LiveJournal, gruppi di appassionati – adolescenti e non – commentavano le puntate, si esaltavano per alcuni sviluppi e si stizzivano per altri, specie nel blando corso della terza stagione.
Il rapporto viscerale con i fan – che un po’ è paragonabile a quello che oggi Netflix cerca di costruire su Instagram con i suoi teen drama – ha reso Veronica Mars una serie di culto. Sono i suoi appassionati, i cosiddetti Marshmallow, ad aver finanziato l’omonimo film del 2014: il progetto di crowdfunding, lanciato da Kristen Bell e Rob Thomas sulla piattaforma Kickstarter, raggiunse in poco tempo diversi record di finanziamento. Il film, benché ben scritto e interpretato, fu un puro esercizio di fan service che allietò specialmente gli appassionati della storia tra Veronica e Logan. Eppure non fu affatto percepito come un’inconsistente operazione nostalgia.
Lo stesso è accaduto con la quarta stagione della serie, prodotta e rilasciata da Hulu la scorsa estate. Pur debilitata nella suspense dalla visione in binge watching, è uno revival più riusciti che si siano visti finora. Le caratteristiche insolite che in passato avevano più volte strappato la serie alla cancellazione han fatto sì che dal finale di dodici anni prima non sembrasse passato un solo minuto. Anche i fan hanno avuto la loro parte, naturalmente: nemmeno il reboot estivo di Beverly Hills, il teen drama di culto per eccellenza, ha smosso tanto fervore quanto il ritorno di Veronica Mars.