Essere donna, tedesca, ebrea e fotoreporter freelance allo stesso momento non deve mai esser stato facile, tantomeno se nel 1933, al momento dell’ascesa al potere del Nazismo, si hanno solamente ventitré anni. Gerda Taro, il cui vero nome era Gerda Pohoryolle, è stata una donna coraggiosa, intraprendente e vitale, schierata in prima linea contro gli orrori del fascismo e del nazismo, tanto da morire a soli ventisei anni durante la Guerra civile spagnola.
Proprio per poter pubblicare i propri scatti con maggior richiesta, i due giovani fotografi decidono di creare uno pseudonimo, Robert Capa, con cui pubblicare le fotografie. Inizialmente utilizzato da entrambi, l’intento era di creare la figura di un caratteristico fotoreporter americano attivo in Europa. L’intuizione funziona e i primi lavori della coppia vengono pubblicati su diverse riviste, francesi e non. Successivamente sarà Endre ad adottare il nome Robert Capa, con cui continuerà la sua carriera fino a diventare uno dei fotoreporter di guerra più conosciuti al mondo, mentre Gerda adotta il cognome Taro, con cui pubblica le proprie pellicole. L’amore tra i due li tiene legati anche quando affrontano un pericoloso reportage dalla Spagna, documentando la feroce Guerra civile spagnola, preludio del conflitto mondiale. Il lavoro della coppia nella penisola iberica mostra le atrocità della guerra in tutto il mondo, e i due giovanissimi e coraggiosi reporter diventano veri e propri testimoni degli orrori degli scontri, mettendo in guardia l’Europa e il mondo intero del pericolo nazifascista.
Nel luglio del 1937, mentre Capa si trova per alcuni giorni a Parigi per incontrare i corrispondenti con cui concordare i successivi lavori, la sua compagna Gerda Taro si trova a Brunete, tra le fila delle Brigate Internazionali, dove tragicamente perde la vita. Infatti, nel caos generato da un attacco aereo tedesco durante lo spostamento di diversi mezzi dei combattenti antinazisti, la fotografa, a soli ventisei anni, finisce schiacciata dalla vita in giù da un carro armato, morendo poi poche ore dopo. La tragica notizia ha una risonanza incredibile e devasta il compagno Robert Capa che, assieme a molti amici e compagni di lotta della reporter tedesca, assiste ai funerali della sua amata a Parigi. Proprio la morte di Gerda, sempre in prima fila e coraggiosamente pronta a sacrificare se stessa per documentare gli orrori del conflitto, spingerà Capa a lavorare in tutti i successivi conflitti, cui prenderà parte in prima linea sfidando la morte. Anche per questo motivo, oltre che per un innato talento artistico, le fotografie di Robert e Gerda restano tutt’oggi un’impressionante documentazione della guerra, vista davvero da vicino e vissuta sulla propria pelle. Robert Capa stesso, dopo aver affrontato il D-Day e altre incredibili e pericolose battaglie, morirà durante la guerra d’Indocina a causa di una mina, sempre fedele al modus operandi proprio e di Gerda, riunendosi a lei.
La storia e la figura di Gerda Taro hanno dell’incredibile. Tedesca, è scappata in Francia e ha lavorato in Italia e Spagna, morendo mentre lottava per difendere la Repubblica contro la tirannia nazifascista. Ha svolto una professione pericolosa e essenzialmente importante, spesso prerogativa maschile, lottando contro odio e stereotipi. Il suo sorriso deciso, furbo e vitale si espande dalle fotografie, uscendo in qualche modo dall’immagine: una giovane donna capace di lottare per i suoi principi, di innamorarsi, lavorare e soffrire. Una donna libera, che davanti alla minaccia fascista ha saputo trovare la forza per porre tra la violenza e il mondo il suo obiettivo fotografico.
Gerda Taro era una donna che ha lottato per vivere, per principi che oggi dovrebbero essere indiscutibili e che ogni giorno, invece, rischiano di essere messi in discussione a causa della perdita di memoria. Non possiamo permetterlo, per noi, per Robert e per Gerda.