Per noi l’arte è un’avventura in un mondo sconosciuto,
che può essere esplorato soltanto da coloro che vogliono rischiare
Mark Rothko
Come si relaziona l’arte all’autismo? Tutto nasce dall’interazione tra l’individuo e l’oggetto estetico. Un’unica opera che al suo interno contiene un labirinto di forme, colori e significati, di cui riusciamo a catturare solo una parte. Il resto si offre alla libera interpretazione e alla fantasia dell’immaginazione, più accentuata nei bambini autistici, perché ha origine da una capacità di percezione sensoriale molto più forte.
Per questo è importante studiare l’interazione tra arte e neuroscienze, ovvero quell’approccio che si focalizza sul modo di percepire e fruire l’opera da parte dello spettatore.
Ma partiamo dal concetto di autismo, così come lo definisce Paola Binetti in un articolo per «Artribune». Paola, laureata in medicina e chirurgia, con una specializzazione in neuropsichiatria infantile, è autrice del libro Autismo. Un futuro nell’arte. L’intervistata afferma che:
Più che parlare di autismo al singolare parliamo di autismi, o di spettro autistico, per indicare la varietà dei quadri che ne fanno parte. La costante di questa complessa condizione umana è la difficoltà a comunicare e a interagire con gli altri.
Una difficoltà relazionale fondata sulla comunicazione verbale, quindi, che richiede un approccio diverso. E qui subentra l’arte, come poliedrica gamma di luci, linee e colori che, con la loro intrinseca razionalità, offrono al bambino autistico una via alternativa di comunicazione. C’è un disegno non scritto dietro l’immagine che può dar forma a precise emozioni, necessarie sia alla comunicazione che al riconoscimento e alla definizione di sentimenti personali.
Questa agisce su tre aree di interesse: educativa, riabilitativa e psicoterapica, così che la funzione interattivo-educativa offerta dai laboratori creativi possa intervenire sia su problematiche comportamentali e patologiche, sia sull’autoconsapevolezza dell’individuo.
Questo implica il potenziamento di alcune capacità che il bambino possiede, ma non è ancora in grado di esteriorizzare. Perché nell’ampia varietà di condizioni biologiche e ambientali che caratterizzano lo spettro autistico una componente costante c’è. È la difficoltà di esplorare se stessi e il mondo circostante, spesso con un’interazione dicotomica per cui il bambino vuole, ma al tempo stesso rinnega uno stesso sentimento o tipo di legame.
L’arte, per sua natura multiforme, offre una soluzione a tali comportamenti contrastanti, sublimandoli nell’unicità dell’oggetto estetico, nella materia. Ma non si tratta solamente della percezione plurisensoriale da parte di un bambino autistico. Riguarda anche il versante della creazione, che possa permettere all’artista di esprimersi, senza che il suo lavoro sia percepito con il filtro della malattia. Ci si focalizza quindi sulla natura relazionale dell’opera d’arte, che mette in connessione artista e spettatore e viceversa.
Sono quindi due i movimenti intrinsechi di elaborazione dell’informazione artistica: bottom up e top down. Nel primo, il cervello capta dalla realtà elementi distinti, come forme, linee, colori, che poi con un secondo movimento relaziona, decidendo che interpretazione finale dare. Durante l’elaborazione avviene quindi una selezione ci ciò che il soggetto ritiene essere più significativo a livello personale, in base anche alla comparazione con esperienze passate e immagini già viste.
Per questo è importante l’interazione tra arte e autismo. Per liberare la comunicazione dagli schemi a cui è vincolata attraverso il linguaggio e affidarla alla pura espressione del colore. Così, come afferma Umberto Eco nel suo lavoro Opera aperta:
L’arte contemporanea attua la sua originalità nel porre (talora opera per opera) un nuovo sistema linguistico che ha in sé le sue nuove leggi. Non ci sono limiti alla comunicazione e questo il bambino autistico lo comprende prima di tutti.