Innanzitutto, perché proprio vandali? Ebbene, la storia in questo caso, così come in molti altri, lascia al tempo il compito di custode di detti e concezioni che sopravvivono sorprendentemente più a lungo sia di coloro che hanno diffuso queste idee, sia dei soggetti che da queste idee sono ridefiniti. I Vandali, infatti, erano una tribù proveniente dalle steppe orientali: nel loro spostamento verso occidente raccolsero e inglobarono dentro di sé altre tribù minori facendosi di volta in volta più corposi e riuscendo infine a imporsi e minacciare i confini romani. Non è l’evoluzione però che ha infangato il nome di questa tribù, bensì il più ben noto e famigerato Sacco di Roma del 455 d.C che vide i vandali, con a capo il rex Genserico, saccheggiare e devastare l’Urbe al fine di costringere i Romani a attribuire loro il riconoscimento di foederati e assicurarsi così la pace con essi. Oggi ci si riferisce con quest’espressione agli individui che distruggono, rovinano e scempiano beni pubblici o privati, proprio come i loro antenati barbari.
Da alcuni decenni si è affermata la teoria che qualsiasi comportamento disturbato da parte di una persona sia, almeno il più delle volte, motivato dai cosiddetti fattori invisibili, cioè psicologici. Dal momento in cui le radici degli uomini del presente affondano inevitabilmente nei bambini del passato, quale miglior modo per osservare e capire le cause del vandalismo, se non volgendo lo sguardo a ciò che è stato?
In primis, la psicologia riconosce l’importanza agli occhi dell’adolescente di sentirsi una parte del tutto, un pezzo di puzzle che si incastra perfettamente con altri pezzi così da formare un’unica figura. L’appartenenza a un gruppo sociale, quindi, diventa la base dello sviluppo interazionale del ragazzo e costituisce per esso quella sorta di seconda famiglia su cui fare affidamento quando quella d’origine non soddisfa i suoi bisogni. Il branco, la gang, il gruppo come rifugio dalla minaccia esterna di genitori, insegnanti e più in generale adulti che si oppongono al ragazzo non solo per il gap generazionale, ma per un ben più incolmabile gap di valori che possono collidere tra loro.
Alle fondamenta di questa ricerca dell’altro, di questo bisogno di sentirsi parte di qualcosa al di fuori del solo Io, sta la radicata incapacità della maggior parte delle persone di affrontare da sé la solitudine e tutto ciò che ne consegue. Inseguire valori in comune con qualcun altro significa anche condividere con egli la protezione di cui gode un gruppo, una pluralità di persone che si guardano le spalle vicendevolmente e riescono a ridurre il peso di un problema suddividendolo fra tutti i membri del suddetto gruppo. In questo modo chi entra nella comunità si assicura aiuto reciproco e una garanzia contro la paura dell’isolamento.
In questo senso, gioca un ruolo rilevante la partecipazione dei ragazzi ad attività sportive in grado di diventare quella valvola di sfogo di cui tutti gli adolescenti hanno bisogno per esprimere le proprie emozioni più intense in modi che la tranquillità della scuola non permette. La liberazione di energie represse costituisce il tasto fondamentale dell’equilibrio psico-fisico di un adolescente in via di sviluppo che deve affrontare, per il proprio bene, quella quantità di dinamismo che si raccoglie dentro di lui. Egli deve esprimersi in qualche modo e, grazie allo sport, può indirizzare la sua energia verso obiettivi positivi anziché liberarla attraverso atti criminali controproducenti.
Altre volte, però, lo sfogo personale non nasce dalla necessità di placare le proprie energie, ma da un desiderio di rivalsa nei confronti di quelle istituzioni che fanno sentire l’individuo impotente, in balia di forze che non dipendono da lui e come tali sono orchestrate da persone talmente lontane che non possono, e forse nemmeno vogliono, sentire il suo grido di aiuto. Istituzioni come la scuola e la famiglia sono primarie nel sano sviluppo psicologico del ragazzo e, se colpevoli di disattenzione nei confronti di questo, possono generare gravi mancanze. Ciò che fa l’adolescente è esternare in modo violento e perentorio quello che cerca di dire da sempre, ma che nessuno ha mai ascoltato: egli lo fa con rabbia, scrivendolo sui muri (letteralmente).
Non è raro che il vandalismo nell’età adolescenziale si accompagni negli anni che seguono a alcolismo, maltrattamento di animali e stalking, proprio perché quel rifiuto – e, nei casi peggiori, anche le punizioni fisiche – nell’età critica hanno contribuito a creare un ambiente soffocante e violento intorno all’individuo. Egli dunque ha iniziato a vedere come normali la prevaricazione, il bullismo e la denigrazione ai danni di chi non riesce a reagire e li pratica quindi a sua volta su altre vittime, in una catena di diniego, svilimento e coazione che si ripete all’infinito.
Queste sono solo alcune delle cause di un fenomeno come il vandalismo che a oggi, con la povertà in crescita e i sempre più superficiali rapporti familiari, si sta espandendo ovunque nel mondo: bisognerebbe incoraggiare chi di dovere a risolvere i problemi adolescenziali come il vandalismo non attraverso rimedi post factum, ma con misure cautelari e precauzionali al fine di evitare che tali eventi possano verificarsi sin dall’inizio. Del resto si sa che prevenire è meglio che curare.