“Non c’è posto al mondo che io ami più della cucina. Non importa dove si trova, com’è fatta: purché sia una cucina, un posto dove si fa da mangiare, io sto bene”.
Sono queste le parole che aprono Kitchen, il breve romanzo dell’autrice giapponese Banana Yoshimoto. Il libro, pubblicato in Italia nel 1993, ha consacrato la scrittrice in tutto il mondo, sancendone il pluridecennale successo.
Le vicende narrate nel romanzo dalla protagonista e narratrice Mikage – una giovane ragazza che ha appena perso la nonna, ultimo membro della sua famiglia – gravitano proprio attorno ad alcune cucine, e gli snodi fondamentali della trama avvengono spesso di fronte a un piatto fumante. La scrittura di Banana Yoshimoto non lascia nulla al caso, e grande attenzione è posta tanto sulla descrizione degli ambienti quanto su quella dei numerosi pasti preparati e condivisi dai protagonisti.
Ma la cura di questi dettagli non è certamente casuale: sembra che per la scrittrice il momento della condivisione di un pasto acquisisca un valore particolare, quasi rituale. Preparare un pasto per una persona cara o semplicemente decidere di condividerlo, per l’autrice nipponica, è uno dei modi più semplici e naturali per prendersi cura di qualcuno. Ecco perché la cucina emerge in queste pagine come il cuore pulsante di ogni casa e di ogni famiglia, il luogo in cui mettere alla prova la propria pazienza e perseveranza, lo spazio in cui condividere dolori e gioie, concentrandosi per una volta sui bisogni dell’altro, piuttosto che sui propri.
In tal modo, Kitchen riesce a rivelarci qualcosa di importante su quella che è la vera essenza di una famiglia. Mikage, infatti, dopo essersi ritrovata orfana e sola al mondo, viene ospitata da un giovane ragazzo e da sua madre, e i tre sembrano diventare un vero e proprio nucleo familiare. Eppure, i rapporti tra loro sono tutt’altro che tradizionali: mentre Mikage non è in nessun rapporto di parentela con gli altri due membri della famiglia, la madre di Yuichi, il giovane ragazzo che la ospita, non è in realtà la mamma biologica, ma è il padre, poiché è in realtà una donna transessuale.
Con estrema naturalezza e con un tocco delicato, dunque, la Yoshimoto è in grado di affrontare una questione apparentemente complessa. Poco importa, sembra suggerire la scrittrice, quali siano i veri rapporti dei personaggi, poiché a tenerli insieme e a renderli autenticamente una famiglia è la cura reciproca, è lo spazio condiviso di una cucina.
Uno spazio che può diventare anche terapeutico: attenersi all’ordine della disciplina culinaria, infatti, diventa per Mikage un modo per fare ordine anche nella propria vita travolta dal lutto. Le semplici azioni di scegliere con cura gli ingredienti, dosarli con attenzione e tentare di amalgamarli aiutano la protagonista a ritrovare l’equilibrio. È la naturalezza di questi piccoli gesti quotidiani a restituire alla vita la giovane ragazza:
“Mentre preparavo i ramen l’incredibile rumore della centrifuga risuonava nella cucina di notte. Sembrava una cosa straordinaria e allo stesso tempo una cosa da niente, un prodigio, ma anche la cosa più naturale del mondo”.
Proprio attraverso l’arte culinaria, dunque, la protagonista di Kitchen ritorna a riconoscersi e dare un senso alle proprie giornate, scoprendo che, nella vita come nella cucina, è necessario commettere molti errori, affrontare innumerevoli imprevisti e talvolta farsi male prima di imparare la ricetta migliore.
Pur nello spazio limitato di un romanzo breve, in sintesi, Banana Yoshimoto è capace di affrontare con profondità tematiche importanti e delicate riguardanti la famiglia, il lutto, la depressione, l’identità sessuale. Sono particolarmente toccanti, ad esempio, i passi dedicati alla sofferenza dei protagonisti e al loro processo di guarigione o di rielaborazione delle perdite subite. Le parole della scrittrice sanno arrivare al punto con la dolcezza di una carezza, dimostrando che persino il dolore può avere un senso:
“Però, chi nella vita non conosce almeno una volta la disperazione e non capisce quali cose valgano veramente, diventa adulto senza avere mai capito che cosa sia veramente la gioia”.
Kitchen, insomma, è un testo capace di ritrarre la vita senza nascondere le difficoltà che essa comporta per ognuno di noi. Al tempo stesso, la storia di Mikage e di Yuichi è quella di una riscoperta dell’esistenza che passa attraverso i sensi, le percezioni più basilari, a partire dal gusto. È un libro che suona come una promessa di momenti migliori per chiunque stia soffrendo, come un’esortazione a ripartire dalle piccole azioni, dalla cura naturale e quotidiana per se stessi. È un invito a ritrovare la gioia di raccogliere le persone amate in una cucina, e cucinare per loro.
FONTI:
B. Yoshimoto, Kitchen, Feltrinelli, 1993.
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