Sono cinque anni esatti che Alessandro Michele è alla direzione artistica di Gucci; Marco Bizzarri lo scelse per rilanciare l’immagine del brand e risollevarne il fatturato. Grazie al suo stile unico, estroverso e sfrontato, è diventato in pochi anni uno dei designer piú influenti sul panorama mondiale.
Per le sue creazioni pesca a piene mani da ogni epoca, da quella bizantina agli anni ’70: le sue collezioni non si legano ad un unico tema ricorrente, ma sono tese alla creazione di un’estetica precisa; alcuni pezzi diventano cult, come i calzettoni bianchi abbinati al mocassino classico.
Il team di Gucci non ha lavorato solo sul versante del design, ma si è concentrato in modo particolare sulla comunicazione, in tutte le sue forme; una parte importante è legata alle collaborazioni con diversi personaggi famosi: tra i piú noti troviamo Jared Leto, Lana Del Rey, Harry Styles. Tra i testimonial italiani invece Ghali e Achille Lauro, recentemente apparso sul palco dell’Ariston indossando quattro look iconici. Per una casa di moda una delle chiavi del successo è legata al mondo degli eventi, tra cui i fashion show; Alessandro Michele per ognuno di questi è stato in grado di stupire e distinguersi rispetto a tutti gli altri marchi, di fatti quello di Gucci è l’evento piú atteso di tutte le fashion week.
Il fashion show della settimana della moda di febbraio non è stato da meno, carico di originalitá ed eccentricità, a partire dall’invito. Ad ogni ospite è stata inviata una nota vocale su Whatsapp contenente luogo e data dell’evento: questo tipo di scelta ha rappresentato una presa di coscienza rispetto all’emergenza climatica, snellendo l’operazione ad un semplice messaggio.
Il giorno della sfilata, il 19 febbraio, sul profilo Instagram di Gucci è apparsa una lettera scritta a mano da Alessandro Michele intitolata Un rito che non ammette repliche; nel testo dichiara le sue intenzioni, consegnando le chiavi di lettura della collezione. La sua fonte d’ispirazione primaria è stato il mondo del cinema: gli invitati vengono accolti con il buio in sala, in un’atmosfera magica e misteriosa; la prima luce ad accendersi è quella di un metronomo che, ricoperto di led, scandisce il tempo. Lo show viene aperto da una registrazione in voice over di Federico Fellini:
“Il cinema, che era proprio questo, era suggestione ipnotica, era ritualistica, c’era qualcosa di religioso. (…) Un rituale antichissimo, di sempre, che ha cambiato forma e modi, ma era sempre quello: sei lì per ascoltare.”
Alessandro Michele ha riscontrato diversi elementi in comune tra cinema e fashion show: il designer vede la sfilata come
“un accadimento magico capace di sprigionare incantesimi. Un’azione liturgica che sospende l’ordinario, caricandolo di un sovrappiù di intensità. Una processione di epifanie e pensieri dilatati che si accomodano in una diversa partizione del sensibile.”
L’attesa del pubblico si fa tattile, alla quale viene consegnato un dono, accolto in religioso silenzio.
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Si accendono le luci: le modelle si trovano sopra una pedana rotante, simile ad una giostra; in sottofondo suona Bolero M.81, accompagnato dal brusio degli addetti ai lavori. Il backstage si fa show: all’interno della teca gli stylist lavorano alla preparazione delle mannequin. Una volta pronte, si posizionano agli occhi del pubblico.
L’intento del designer è quello di mostrare ciò che solitamente rimane nascosto; il lavoro che avviene dietro le quinte è spesso taciuto e dimenticato, ma rimane una parte fondamentale dello spettacolo.
“C’è tuttavia qualcosa che, in questa cerimonia, solitamente rimane sepolto: lo sforzo del partoriente che accompagna il tremore della creazione; il ventre materno in cui la poesia, da forma a forma, fiorisce. Ho deciso quindi di alzare un velo su ciò che ama nascondersi. Che esca dall’ombra quel miracolare di mani sapienti e di respiri trattenuti. Che si faccia visibile quell’intelligenza collettiva che cura la gestazione, con brivido che infuria. Che si costruisca un trono per quell’alveare scalcagnato e un po’ folle che ho scelto come casa. Perché quella è la casa che venero: il varco benedetto attraverso cui la bellezza esce dal guscio.”
Una volta pronti tutti i modelli, questi cominciano a sfilare ed i lavoratori prendono il loro posto. In ultimo appare Alessandro Michele, il volto di Gucci, accogliendo gli applausi del pubblico e chiudendo lo show.
La collezione dimostra una continuità rispetto a quella precedente, presentata lo scorso gennaio alla settimana della moda uomo; il principio creativo è lo stesso: ridefinire la normalità attraverso diverse individualità al di fuori dell’ordinario. Forme e stili diversissimi sono accostati, sovrapposti, ottenendo dei look tesi all’eliminazione del binarismo di genere e della mascolinità tossica. Come nella pre-collezione autunno/inverno 2020/21, l’uomo si riscopre bambino indossando maglioncini e cappotti doppiopetto dai colori pastello, e allontanandosi dalle imposizioni della società contemporanea.
Alessandro Michele, da molti definito l’enfant terrible della moda, non sbaglia un colpo. Ogni collezione è carica di riferimenti ed immagini fortemente significative, che rendono ogni sfilata unica nel suo genere. Gli addetti ai lavori ed il pubblico rimangono ogni volta stupiti, affascinati e curiosi rispetto a cos’altro sarà in grado di fare.
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