“Femonazionalismo”, unione di femminismo e nazionalismo, è un termine coniato da Sara R. Farris in relazione ai suoi studi sul tema. La parola si riferisce alla strumentalizzazione delle tematiche prettamente femministe da parte di partiti politici nazionalisti. Questo cavalcare l’onda da parte dei partiti di destra e ultradestra è dovuto alla volontà di modernizzarsi. Coniugano così la necessità di mostrarsi all’avanguardia e di portare avanti politiche conservatrici, in linea con l’elettorato tradizionale del proprio partito.
La destra delle donne
In Francia Marine Le Pen del Rassemblement National (ex Front National) è riuscita a imporsi in un partito considerato, non per errore, machista e maschilista. In Italia, un tentativo simile è stato fatto, ed è attualmente in corso, da Giorgia Meloni. Le differenze sono però molte, in primo luogo partendo dall’uso che hanno fatto, e stanno facendo, della religione. Se da un lato Le Pen ha sempre sottolineato la laicità come valore fondamentale per la Francia, Meloni ha scelto la strada opposta: insistere sull’aspetto religioso, arrivando, per esempio, a posizioni dichiaratamente contrarie all’aborto. “Io sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono cristiana” è stato il tormentone degli ultimi mesi sui social, anche in ambienti che nulla hanno in comune con la sua visione politica. Tuttavia, il detto “nel bene o nel male, purché se ne parli”, è stata la chiave di volta per la Meloni, che ha aumentato il consenso al suo partito.
Paradigma indissolubile
Costanza Miriano (giornalista e scrittrice italiana) è, invece, la portavoce della retorica più tradizionalista riguardo il ruolo della donna, che la vede limitata a madre e casalinga, assestandosi su posizioni ben più retrograde rispetto alla stessa Chiesa. Il passo in avanti, se così si può definire, è dato dalla scelta: è la donna, secondo il suo punto di vista, a scegliere di essere solo moglie, solo casalinga, solo madre. Tuttavia, oggi è lo stesso mondo cattolico ad aver assunto posizioni meno rigorose in materia. Infatti, fu proprio Papa Bergoglio a definire la donna come “colei che dà armonia al mondo, non è per lavare i piatti”. Non che questo sia il pensiero dominante interno al mondo cattolico, ma è emblematico che il suo massimo esponente abbia intrapreso questa direzione.
Il femonazionalismo è ben lontano dall’attirare un elettorato femminista, ma d’altronde lo scopo non è certo quello. È pensato piuttosto per tutta quella fetta di elettorato, non troppo conservatore, da un lato legato ai valori tradizionali, ma non così tanto da arrivare pubblicamente ad affermare che una donna non abbia alcun diritto al di fuori della casa.
Femminismo e politica: ieri
Non si può essere femministi senza occuparsi di politica. Il movimento femminista, considerando tutte le sue fasi e correnti, è nato con l’intento di andare a modificare quelle che sono le strutture patriarcali esistenti in società. Si proponeva, o si intendeva proporre, un’alternativa svincolata da quelli che sono gli stereotipi di genere. In termini politici, per quanto riguarda l’Italia, il femminismo è un movimento tutto sommato recente. Lo testimonia il lavoro della storica e filosofa Paola di Cori, che ha evidenziato due fasi.
Fase 1:
In un primo momento confronti e dibattiti avvenivano internamente ai collettivi femministi, per una ragione principale: la critica era rivolta al modo di fare politica, in un mondo innegabilmente pensato da uomini e popolato da uomini. “Il personale è politico” (slogan attribuito a Carol Hanisch) diventa il leitmotiv che smuove il sistema: le questioni femminili non sono più solo un problema personale ma diventano pubbliche, riguardando così tutta la collettività.
Fase 2:
Dopo aver preso coscienza di questo fatto, inizia la cosiddetta seconda fase. Il movimento femminista interagisce, o tenta di farlo, con i partiti politici. Si inizia dunque a parlare di “doppia militanza”, intendendo pratica politica unita a partecipazione attiva nei movimenti. I partiti a cui si rivolgono, e che ideologicamente possono avere punti in comune con le loro visioni, sono quelli di sinistra. Entrambi partono infatti da presupposti comuni, come il progressismo e la lotta alle discriminazioni. Una grande vittoria dal punto di vista legislativo è stata l’approvazione della legge 194 nel 1978, che ha depenalizzato l’aborto, e che ancora oggi, ciclicamente, torna ad inserirsi nel dibattito politico.
“Diamo quindi questo voto alle sinistre “con riserva” e con la volontà di essere un continuo stimolo per le forze politiche che dicono di farsi carico della lotta delle donne ma si limitano a ficcarle di gran fretta nelle liste elettorali, magari evitando poi di eleggerle, e a dedicare qualche paragrafo in più alla questione femminile nei comizi”. Si può così riassumere il legame tra il mondo femminista e quello della sinistra.
Femminismo e politica: oggi
Oggi è difficile identificare un legame solido tra i due mondi, anche se sicuramente rimane costante l’ala di riferimento. Non è possibile, però, creare un dibattito serio e costruttivo all’interno della sfera politica, ma è necessario cercarlo in circoli molto più ristretti. Questo perché in Italia discorsi sul femminismo restano in parte un tabù, difficili da trovare anche in ambito accademico. Basti pensare allo sviluppo degli Women’s Studies e Gender Studies, discipline presenti in quasi tutte le grandi università europee e statunitensi ma in Italia, di fatto, assenti o quasi.