A gennaio la natura offre il colore grigio della nebbia, della pioggerellina che sfiora la pelle ma non la infastidisce, del futuro di un nuovo anno che incede timido e offuscato, della pietra narrativa di Giano, che da radici lontane osserva quello che verrà.
Gennaio è il primo mese dell’anno. Tiene testa a tutti gli altri suoi simili e fa da padrone all’avvicendarsi delle stagioni, come traghettatore continuo di più archi temporali. Il suo compiersi è però flebile ed evanescente, perché governa un passato che non gli appartiene e un futuro di cui non sa ancora cosa aspettarsi. Per questo la sua immagine è offuscata dalla nebbia, avvolta da un alone grigio che vira verso una trasparenza sempre più acuta.
La nebbia è un microcosmo di goccioline d’acqua, condensate in quel mare di nebbia che osserva il viandante di Caspar David Friedrich. Lì, a bordo di un precipizio, abbraccia qualcosa di sconosciuto, che non gli appartiene, ma di cui vorrebbe fare parte. È la concretizzazione del sublime, come forza attrattiva e respingente, che accoglie prima in un abbraccio, poi in una morsa mortale il suo spettatore.
La natura si prospetta così come un meccanismo troppo complesso per l’uomo da modificare. All’individuo rimane così solo il potere di una contemplazione passiva, di un abbandono incontrollato al caos delle proprie emozioni, quelle che scaturiscono da qualcosa di troppo grande da afferrare, troppo instabile da controllare. E così è il futuro, una cappa nebbiosa che pesa sulle nostre teste. Lo vedi, ma solo in maniera offuscata, lo senti, ma solo come un live fastidio sulla pelle.
Non penetra la carne, non agisce sugli ingranaggi emotivi. Non può ancora farlo, perché è ancora in definizione. Come i palazzi in costruzione di una metropoli, grigia, perché la stagione le dona quel colore. Ed è anche questo, gennaio: la rappresentazione di una città che comincia a rivivere nelle sue mansioni dopo le vacanze natalizie. Il peso dei lavoratori che si muovono tra le strade, grigie di cemento, avvolti da un ozio latente che ancora non vuole abbandonarli.
Il simbolo di tutto questo è la Milano in bianco e nero degli scatti di Carlo Orsi. Una Milano attiva, dinamica, popolata, che però sembra assorbire tutto il superfluo per lasciare spazio all’architettura che la compone. Così Orsi fotografa i silenzi dei palazzi industriali, delle antiche corti, dei monumenti storici, lasciando sullo sfondo quella frenesia quotidiana che offre il colore, il calore e il respiro dei suoi abitanti. Milano rimane illibata, purificata, spoglia, nuda di fronte alla contemplazione di chi la osserva.
È una città che vive nel colore grigio, non però come componente annichilente, ma come forza produttiva. Può anche essere considerato un non-colore, ma quella che offre è una narrazione esaustiva, senza bisogno di orpelli, perché parla attraverso la cruda materia. È un grigio che vive ancora nei suoi toni più freddi, ma cerca di afferrare quel primo calore che esploderà solo in primavera. Lo dimostrano i primi timidi e tiepidi raggi di sole che affiorano in qualche giornata sporadica di gennaio.
È successo anche durante i Giorni della Merla, quelli che, tradizionalmente, sono considerati i giorni più freddi dell’anno. Si tratta di una leggenda, che dovrebbe trovare sfogo principalmente nei paesi del Nord Italia durante il 29, 30, 31 gennaio. In realtà non sempre è vero, come dimostra un 2020 dal clima mite e soleggiato. Ma qual è l’origine di questo termine?
Una favola di origine popolare vuole che una merla, dal piumaggio bianco e soffice, per sfuggire al freddo degli ultimi giorni di gennaio, che rischiava di farla morire ibernata, si nascose nel comignolo di una casa. Ne uscì dopo tre giorni, il 1° febbraio, totalmente nera, a causa della cenere che le aveva impregnato le piume. Da quel giorno, essendo lei l’unica sopravvissuta, tutti gli altri merli ne seguirono l’esempio, e diventarono neri.
Riaffiora dunque, anche in una leggenda dalle radici antiche, il colore grigio associato al mese di gennaio. Il grigio della cenere, espulsa dai camini delle abitazioni familiari, dei nidi, simbolicamente al pari di quelli dei merli, in cui la famiglia trova rifugio dal freddo delle giornate invernali. In un mese il cui nome deriva proprio da una forma di narrazione popolare, la mitologia, e dal suo protagonista, Giano.
Il dio romano Giano è quindi colui da cui tutto ha inizio. Una creatura dal volto bifronte, perché contemporaneamente in grado di guardare il passato e il futuro. È il protettore delle case, il guardiano dei passaggi, il messaggero del futuro come simbolo di rinascita, di cambiamento, sulle ceneri di un anno passato e sulla soglia di quello futuro.
E dalla pietra delle sculture che omaggiano Giano si espande un messaggio di speranza e di fiducia per il nuovo anno. Già si chiude nel suo primo mese verso un incedere sempre più veloce del tempo, di cui sembriamo non accorgercene. Per questo e per molto altro il grigio è il colore di gennaio. Perché ha una natura indefinita, nel suo non essere né bianco, né nero. Come questo mese di passaggio, che ha il doveroso compito di spianare la strada a tutti gli altri mese e anche a noi, per aiutarci un po’ a capire che direzione prenderà il nostro anno.