L’Emilia-Romagna tiene, la Calabria scivola a destra

I risultati delle elezioni in Emilia-Romagna e in Calabria non sono certamente cosa nuova, ma si rivela necessario necessario riflettere su alcuni fatti essenziali avvenuti durante la campagna elettorale e nei giorni immediatamente seguenti alle elezioni.

In Emilia-Romagna la vittoria è del candidato di centrosinistra con maggioranza assoluta del 51,42%; il centrodestra si ferma invece a 43,63%. D’altra parte la discutibile gestione dell’uscente governatore PD Oliverio, e la difficoltà nello scegliere il candidato, hanno impedito che ci potesse essere un vero confronto in Calabria. Lì, il centrodestra ha trionfato nettamente con Jole Santelli al 55,4% e Callipo al 30%, nonostante il PD sia comunque primo partito col 15%.

Il M5S, dal canto suo, ha riportato pessimi risultati alle regionali, come già nel 2014. Certamente questo si inserisce in una parabola discendente del partito dalle politiche 2018 con un exploit incredibile del 32%, alle Europee del 2019 fino alle regionali del 26 gennaio 2020. Bisogna ricordare, però, che oltre a questioni interne, ci sono anche sostanziali differenze tra le elezioni europee, le elezioni locali e le politiche.

La campagna elettorale

Questa campagna elettorale, specialmente quella Emiliano-Romagnola, è stata segnata da numerosi eventi. Dalla nascita delle Sardine, alla storia del citofono fino alla strumentalizzazione del caso Bibbiano, gli esempi sono innumerevoli. A questo bisogna aggiungere la soffocante e martellante propaganda social da entrambe le parti, anche se in modi diversi.

Le Sardine

Nate il 14 dicembre 2019, sono ormai note all’opinione pubblica grazie alla forte risonanza mediatica riscossa. Come era prevedibile, pur rimanendo aperte alle persone e non a partiti e ideologie, hanno rappresentato un fattore di polarizzazione ulteriore dello scontro politico. Con il loro manifesto, più che spostare voti da destra a sinistra, hanno richiamato molti alle urne attraverso un messaggio che invitava a fare gruppo. Gruppo che nella sua essenza è diverso dal branco. Infatti un branco, ben rappresentato per esempio nella politica italiana  dalla Lega di Salvini, vuole un alfa; un gruppo invece lavora in squadra ed è unione di singoli.

Il movimento delle Sardine però, è bene sottolineare, non è stato costruito solo per le elezioni in Emilia-Romagna, come dimostrano le manifestazioni nel resto d’Italia e all’estero. Altresì, non si tratta di un partito politico in senso stretto ma di cittadini che, in quanto tali, sentono la necessità di partecipare alla vita pubblica. Questo, in un Paese spesso stagnante come l’Italia, è indubbiamente una boccata d’ossigeno per il dibattito civile.

Purtroppo, il fatto che dei cittadini possano riunirsi e dare delle opinioni politiche al di fuori della rappresentanza partitica appare strano ai cronisti dello Stivale. Questo spiega la fobica insistenza, della destra ma non solo, sull’assenza di un programma specifico e sulla pochezza dei contenuti delle Sardine. Bisogna dunque ricordare che democrazia non è solo votare ogni cinque anni (o, come più comune, ogni due o tre anni a causa dell’instabilità dei governi). I cittadini sono liberi di partecipare alla vita dello Stato in vari modi e il movimento popolare e civico delle Sardine lo ha ricordato.

Se questo movimento spontaneo ha funzionato in Emilia-Romagna, non si può tuttavia dire lo stesso per la Calabria. Come evidenzia Nicola Irto, Presidente del Consiglio Regionale uscente, le Sardine in questa regione non sono riuscite a intercettare la piazze.

Storia di un citofono

Il 21 gennaio Salvini, recatosi nel quartiere bolognese del Pilastro, citofona a casa di una famiglia tunisina (strano vero?) per riabilitarne il nome. Il Sommo Tribunale dei Bianchi li riteneva infatti spacciatori, sia padre che figlio indistintamente (del resto sono tunisini, dov’è la differenza?). Le accuse provenivano da una donna sofferente per la morte del figlio, dovuta proprio alla droga.

Salvini, prode eroe per le telecamere, si reca dunque sul luogo con fare beffardo e, stupitosi che non siano né irregolari né abusivi, pretende di violare il domicilio. Tutto ciò per non venir meno al compito di rilegittimare la famiglia disonorata. Nello Stato salviniano il garantismo vale ormai solo per chi vota Lega. Con questo Salvini ha quindi rimarcato una certa tendenza buffonesca.

Il problema del silenzio elettorale

Ancora una volta, si è presentato il problema del silenzio elettorale sui social media. Infatti, la legge italiana che regola la propaganda elettorale è antica: risale al 4 aprile 1956 quando De Gasperi era morto da solamente due anni. Chiaramente, il silenzio elettorale è stato poi allargato alle emittenti radiotelevisive col decreto-legge del 6 dicembre 1984, ma questo è quanto.

In mancanza di normativa specifica, il mondo dei social-media rimane perciò escluso dal concetto di silenzio elettorale. Essendo impossibile fare appello al buonsenso, soprattutto nel mondo dei social, urgerebbe dunque una normativa aggiornata. Se non altro, si eviterebbero spiacevoli scenate di accuse reciproche come quello tra la Lega e Bonaccini.

Il secondo è stato accusato di non aver rimosso le inserzioni a pagamento su Facebook allo scoccare della mezzanotte. A sua volta Bonaccini ha controbattuto, accusando la Lega di non aver mai rispettato il silenzio elettorale, continuando a pubblicare post e tweets. La voce più ragionevole è forse quella di Carlo Calenda che ha smorzato la polemica affermando l’esigenza di colmare il vuoto normativo senza fare polemica sterile.

Cosa sta succedendo in questi giorni post-elezione

Finiti gli scrutini, sono arrivati i risultati definitivi che hanno portato sollievo al centrosinistra. Se la Calabria era ormai persa, l’Emilia-Romagna ha resistito con successo. Ma come si è mossa la politica in seguito ai risultati?

La Lega, o meglio Salvini, ha ripreso col martellamento social sul tema preferito: l’immigrazione. Inoltre, il Capitano è ritornato nei salotti televisivi di Giordano, Porro e Vespa. Ovviamente nei suoi post non mancano immagini di vita quotidiana di discutibile levatura istituzionale ma che lo rendono agli occhi dei follower un uomo del popolo. Borgonzoni, invece, dal 25 gennaio ringrazia i votanti, sperando forse in un miracolo; nel frattempo continuerà a mostrare magliette su Bibbiano in Senato. In attesa di una nuova campagna elettorale dunque, niente di nuovo sul fronte leghista.

In casa PD invece si tenta di guadagnare il più possibile da questa vittoria, alterando l’assetto politico che ora vede parità di ministri 5 Stelle e di centrosinistra. Nonostante le debolezze del M5S, il PD dovrebbe ricordare che in questa legislatura ha preso il 18%, o il 22%, se parliamo di tutta la coalizione di centrosinistra. Il M5S, per quanto in crisi e con fughe di parlamentari, ha invece ottenuto il 32%. Dal canto proprio Bonaccini è ritornato alla sua precedente mansione di amministratore di una delle regioni più floride d’Italia.

M5s paga, invece, la storica debolezza nelle elezioni locali ma anche questi due anni di governo confusi che ha dietro le spalle. FI sparisce in Emilia-Romagna ma conferma la presenza in Calabria, poco al di sotto di Salvini. Exploit di Fratelli d’Italia che invece si attesta all’8% in Emilia e al 10% in Calabria.

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